giovedì 28 maggio 2015

La Stampa 28.5.15
Il rapporto Ocse: siamo al penultimo posto per occupazione
Sempre più giovani senza lavoro
Ormai in Italia sono uno su due
di Alessandro Barbera


Le ragioni del disastro stanno nel titolo del rapporto. «Skill outlook» è l’indagine con la quale l’Ocse, l’organizzazione intergovernativa con sede a Parigi, studia il rapporto fra competenze acquisite con l’istruzione e l’occupazione. Le statistiche sono fallibili, talvolta non restituiscono fino in fondo la realtà di un Paese. Fatto è che i numeri dell’Italia sono senza appello: quarti nell’area Ocse (dopo Turchia, Spagna e Grecia) per numero di giovani che non studiano né lavorano, primi per numero di giovani (e adulti) con scarse attitudini di lettura, rispettivamente primi e secondi per il numero di adulti e giovani con scarse competenze matematiche. Il problema nel problema è che negli ultimi anni le cose sono peggiorate: nel 2007 i giovani occupati erano il 64 per cento, oggi sono appena uno su due, il 52 per cento: siamo secondi solo alla Grecia. Tra i giovani «Neet» italiani - ovvero gli under 30 che non studiano né lavorano - il 40 per cento ha abbandonato la scuola prima del diploma secondario, il 49,87 si è fermato al diploma, il 10,13 ha una laurea.
A prima vista si potrebbe essere indotti ad attribuire parte del peggioramento alla crisi. In un breve paragrafo dedicato all’Italia e alla Grecia gli esperti dell’Ocse sottolineano che, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, si sommano condizioni sfavorevoli «nel mercato del lavoro» e «nelle istituzioni sociali ed educative». L’Ocse confronta anche i numeri di chi un lavoro ce l’ha: il 31 per cento dei giovani under 30 svolge compiti di routine, il 15 per cento ha una occupazione che non richiede formazione continua, il 54 per cento non ha alcuna esperienza nell’uso del computer.
Dei ritardi delle imprese italiane nei settori innovativi parlava ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. I problemi dell’istruzione sono a monte e a valle del processo produttivo. A chi resta senza lavoro e ai disoccupati cronici mancano «efficaci percorsi di riqualificazione»; i giovani non hanno «la prospettiva di un adeguato ritorno, non solo economico, per l’investimento in conoscenza». Non è solo un problema di fondi, ma di una «valutazione sistematica dei servizi offerti e delle conoscenze acquisite». Eppure, fra chi critica la legge sulla «buona scuola», le lamentele si concentrano sui criteri per valutare i professori, non gli studenti.