mercoledì 27 maggio 2015

La Stampa 27.5.15
La svolta della Cina
Taglio ai dazi sul lusso per lanciare i consumi
Sforbiciata del 50%. Ci guadagna il Made in Italy
di Ilaria Maria Sala


La Cina che consuma meno fa felice anche il Made in Italy: ieri Pechino ha annunciato che dall’1 giugno caleranno i dazi imposti ai beni di lusso importati, in particolare nel settore abbigliamento, calzature e cosmetici. Dazi molto alti, che portano i consumatori cinesi a pagare circa il 20% in più in sole tasse sul lusso. I consumatori cinesi sono responsabili del 47% del consumo globale del lusso, ma il 73% di questi acquisti avviene all’estero (incluso Hong Kong e Macao).
La decisione del ministero delle Finanze cinese nasce dal desiderio di dare una spinta alla domanda interna, calata sia per il rallentare della crescita (al 7%, al di sotto dei livelli del 2009: moltissimo per noi, poco per una Cina abituata a una crescita a doppia cifra) che per gli effetti collaterali della campagna contro la corruzione lanciata due anni fa, che ha inciso negativamente sulle vendite del lusso, limitandone in particolare lo sfoggio sfacciato di qualche anno fa.
Dunque, da lunedì la media dei tagli ai dazi sul lusso sarà del 50%: nell’abbigliamento importato si registrerà una diminuzione delle tasse aggiunte dal 14-23% attuali al 7-10% previsti per lunedì. Sulle calzature i dazi dimezzeranno, andando al 12%, mentre per cosmetici e prodotti di bellezza scendono al 2%.
I marchi interessati
Buone notizie per i produttori di alta moda italiani e non che da anni investono in Cina, affittando costosi flagship shops in tutte le città del Paese, per vedere però spesso i clienti cinesi acquistare più volentieri all’estero, dove i dazi sono meno soffocanti. A sostenere la domanda nell’ultimo periodo è stato anche il calo dell’euro, che, insieme al ridimensionamento dei dazi, mette numerosi beni importati alla portata di un numero maggiore di amanti del lusso occidentale.
Guardiamo alcuni esempi italiani: Salvatore Ferragamo, fra i tanti, è molto esposto sul mercato asiatico, che rappresenta un terzo delle sue vendite totali. Secondo i dati pubblicati dall’azienda a fine marzo, Ferragamo ha registrato un aumento delle vendite del 10% nei primi tre mesi dell’anno (per un fatturato di 327 milioni di euro nel primo trimestre), con un profitto netto a +17% rispetto al periodo precedente - e vendite cinesi in aumento del 22%, in particolare grazie al calo dell’euro. Anche il Gruppo Tod’s ha grossi interessi in Cina: il 20,9% del totale delle vendite nei primi tre mesi del 2015 (contro il 34% nella sola Italia) tramite i suoi 79 negozi monomarca nel Paese, per un fatturato complessivo di 257,7 milioni di euro da gennaio a marzo.
Per Prada, invece, che ha voluto quotarsi alla Borsa di Hong Kong, le cose sono state meno rosee negli ultimi tempi, vittima forse del suo successo precedente (che rende il marchio vulnerabile in epoca di sobrietà anti-corruzione) e della sua forte esposizione in Cina: un calo delle vendite del 28,8% nel 2014, in parte causato dal numero inferiore di turisti cinesi che hanno visitato il flagship shop di Hong Kong, che si trova proprio nell’area interessata dalle manifestazioni pro-democrazia dello scorso autunno.