La Stampa 25.5.15
L’Italia vanta crediti per 40 miliardi
Le banche private solo per 800 milioni
Il verdetto delle Borse Il nuovo allarme che arriva dalla Grecia potrebbe dare uno scossone ai mercati azionari e obbligazionari
Gli analisti: rischi limitati di contagio sui titoli di Stato del Sud Europa
di Francesco Spini
Non è più un problema delle banche, per lo meno non di quelle italiane. Dopo anni vissuti con l’incubo di Atene, i principali istituti del Paese hanno da tempo scaricato il grosso dei sirtaki-bond. Se solo quattro anni fa Unicredit ne aveva per 900 milioni di euro e Intesa Sanpaolo per altri 800 milioni, ora la situazione è molto differente.
Le esposizioni rientrate
Un mese fa, rispondendo agli azionisti in assemblea, l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha specificato che «a fine 2014 non avevamo alcuna esposizione in titoli governativi greci». Anche da Piazza Gae Aulenti, l’ad Federico Ghizzoni a febbraio ha spiegato che i 400 milioni di Unicredit rappresentano «un’esposizione industriale e non finanziaria» per conto di clienti, soprattutto tedeschi, che operano col settore navale greco. Già a settembre dello scorso anno l’esposizione totale delle banche italiane - come aveva riportato uno studio di Bruegel - era scesa a 800 milioni. Ben al di sotto dei 923 milioni degli istituti olandesi, degli 1,4 miliardi dei francesi e dei 10 miliardi delle banche tedesche.
Il debito «socializzato»
In questi anni, casomai, abbiamo assistito a un travaso nel sostegno ad Atene. La finanza, tranne rari casi, ha fatto un passo indietro, mandando avanti gli Stati. Solo il 17% dei 322 miliardi di debito greco è in capo a privati. La stragrande maggioranza è questione pubblica, di tutti noi. All’Italia tocca così una patata bollente da 40 miliardi, dietro solo a Germania (60 miliardi) e Francia (46 miliardi). L’impennata dell’impegno pubblico è il risultato degli apporti concretizzati non solo nei prestiti bilaterali, ma dovuti alla partecipazione al fondo «Salva Stati», alla Bce, all’Fmi.
Le conseguenze
Non c’è solo l’apprensione per i miliardi italiani, ma anche per lo spettro che aleggia con un eventuale fallimento greco: il ritorno nel baratro della crisi del debito sovrano. Nei report degli analisti non traspare panico. «Pensiamo che la reazione del mercato a un effettivo default» (se non accompagnato da un’uscita dall’euro) sarebbe «piuttosto moderata e temporanea», scrivevano alcuni giorni fa da Ubs. E questo perché dopo la ristrutturazione del debito del 2012 le banche hanno ridotto l’esposizione. E nel frattempo la crisi economica è stata, almeno in parte, arginata.
Tornano i Pigs?
C’è chi, sprezzante del pericolo, ha in tasca titoli greci come il quinquennale emesso nel 2014 al 4,75% (ora al 16,64% effettivo). Casi tutto sommato isolati. «Il maggior rischio per i risparmiatori è un ritorno di tensione sui “Pigs”, e quindi sui bond degli Stati periferici, tra cui l’Italia: ci vorrebbe poco a tornare a 200 punti di spread», dice Angelo Drusiani, di Banca Albertini-Syz. Altri gestori, come Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroders in Italia, confidano nella «muraglia» eretta dalla Bce attraverso l’acquisto di titoli pubblici che limiterebbe il contagio. E i fondi? «Si sono già protetti - spiega il gestore -. Altrimenti la tensione degli ultimi giorni avrebbe portato a vendere titoli periferici per comprare il bund tedesco. Invece quest’ultimo ha visto crescere i rendimenti da 0,15 a 0,60% e i prezzi scendere di conseguenza».