lunedì 25 maggio 2015

La Stampa 25.5.15
John Nash, guai a chiamarlo Beautiful Mind
di Piero Bianucci


Tornava a casa dall’aeroporto dopo aver ritirato a Oslo dal re di Norvegia il Premio Abel, il Nobel della matematica. Ma lui il Nobel l’aveva già avuto, per l’Economia, nel 1994, grazie alla Teoria dei giochi. Chissà se il tassista sapeva di avere a bordo John Nash e sua moglie Alicia, il famoso John Nash sfuggito a trent’anni di schizofrenia e reso popolare dal film A Beautiful Mind. Forse si sarebbe preoccupato di invitarli ad allacciare le cinture. Non l’ha fatto. Così la vita di uno dei matematici più grandi di tutti i tempi è finita per un incidente banale, a 86 anni.
Nato a Bluefield in Virginia nel 1928, come Einstein e altri futuri geni Nash fu un bambino introverso, scontroso, solitario. Evitava i compagni di scuola. Il padre, texano, incoraggiava questi atteggiamenti regalandogli libri scientifici. Al liceo incominciarono a emergere le sue doti, vinse borse di studio, studiò ingegneria chimica e elettrica, lavorò brevemente in un’azienda energetica e si dedicò alla sua vera vocazione, la matematica.
La Teoria dei giochi
Quella che nell’adolescenza sembrava inettitudine ai rapporti sociali si rivelò come un’eccezionale capacità di concentrazione. Nash affrontava problemi matematici che avevano resistito alle migliori intelligenze escogitando punti di attacco innovativi. Spesso il suo lavoro partiva dalla collaborazione con un collega che gli forniva lo stimolo iniziale. Poi, quando il sentiero si faceva più impervio, continuava da solo l’ascesa, fino alla vetta. Dotato di straordinario pensiero laterale, vedeva soluzioni dove gli altri si perdevano.
Era un matematico puro, ma amava agganciare le equazioni alla concretezza dei problemi fisici. I suoi lavori sono applicabili alla meccanica quantistica, alla diffusione del calore in un metallo, allo scorrere vorticoso dell’aria sotto le ali di un aereo, ai moti turbolenti dell’atmosfera e di altri fluidi comprimibili. La Teoria dei giochi è una matematica che creò quasi dal nulla nel 1949 mentre preparava la tesi di dottorato a Princeton. È adatta a gestire tutte le situazioni di conflitto in cui due o più soggetti debbano prendere decisioni adatte a rendere massimo il guadagno tenendo conto dei meccanismi di retroazione comportati dalle proprie scelte e da quelle dei competitori. La finanza ha trovato nella Teoria dei giochi una razionalizzazione di comportamenti che prima erano abbandonati all’istinto o al caso. Di qui, 45 anni dopo, il premio Nobel per l’economia.
Ma Nash era altrettanto grande in molti domini della matematica: logica, geometria algebrica, topologia. Mentre la Medaglia Fields - l’altro grande riconoscimento a cui può ambire un matematico - viene assegnata per un lavoro scientifico preciso, il Premio Abel - istituito nel 2000 per ricordare il grande matematico norvegese, valore 750 mila euro - riconosce una carriera, una vita di risultati importanti. Nel caso di Nash, tuttavia, la motivazione cita in modo puntuale i suoi fondamentali «contributi alla teoria delle equazioni alle derivate parziali non lineari e alle applicazioni all’analisi geometrica». In questo caso Nash aveva risolto uno dei celebri «problemi del millennio» che Hilbert aveva indicato come le vere sfide della matematica del futuro. Riconobbe peraltro che l’italiano Ennio De Giorgi aveva ottenuto la stessa soluzione qualche mese prima e in modo indipendente.
Sull’orlo dell’abisso
A trent’anni Nash aveva già alle spalle risultati sufficienti a farlo entrare nella storia. A quel punto l’ombra della schizofrenia calò su di lui. A tratti il delirio lo possedeva: credeva di ricevere messaggi criptati da extraterrestri, si riteneva imperatore dell’Antartide o il capo di un governo universale. Brevi intervalli di lucidità gli permettevano di tornare al lavoro, sia pure con esiti meno brillanti. Ricoveri, psicofarmaci, separazione e ricongiungimento con Alicia. Infine, all’inizio degli anni 90, l’uscita dalla malattia, il premio Nobel, il film A Beautiful Mind, certo criticabile ma vera consacrazione della sua fama.
La «beautiful mind» era tornata padrona di sé, con Alicia al fianco era un testimonial per la lotta alla schizofrenia, ma era come se Nash si sentisse sempre sull’orlo dell’abisso. Racconta Piergiorgio Odifreddi che una volta Nash andò ad accoglierlo alla stazione del treno che porta da New York a Princeton. Guidando, Nash anticipava verbalmente ogni gesto: ora giro a destra, ora mi fermo al semaforo e così via. Come se si desse degli ordini e avesse paura, all’improvviso, di trasgredirli. Nel suo destino c’era un incidente d’auto. Ma non per colpa sua.