La Stampa 22.5.15
Podemos e Ciudadanos, i volti nuovi che vogliono cambiare la Spagna
Il 24 le regionali: gli emergenti mettono in crisi l’alternanza socialisti-popolari
di Francesco Olivo
Il destino della Spagna domenica sera potrebbe essere nelle mani di due ragazzi. Nonostante la sangria di voti (niente vino, qui è il sangue a scorrere) prevista alle amministrative, popolari e socialisti, i due grandi partiti della Spagna post franchista, non scompariranno, ma per continuare a contare dovranno scendere a patti. Dall’altra parte del tavolo troveranno Albert Rivera e Pablo Iglesias, leader di Ciudadanos e Podemos, due cespugli diventati, in pochi mesi, alberi rigogliosi, capaci di fare ombra al sistema e di dare uno sbocco elettorale alla richiesta di cambiamento. Il primo compie l’opera nel campo moderato, togliendo voti principalmente a conservatori delusi, i secondi agiscono sull’onda dei movimenti degli indignados, unendo la sinistra radicale e le pulsioni antipolitiche figlie della crisi.
Niente maggioranza
I numeri sembrano, almeno quelli, essere chiari: il Partito Popolare, anche dovesse confermarsi prima forza del Paese, non avrà la maggioranza assoluta praticamente in nessuna regione, anche i Comuni principali potrebbero svanire (persino la roccaforte Valencia è in pericolo). Le larghe intese sono escluse, il Psoe ha messo la pregiudiziale su popolari e sinistra basca filo Eta, (Rajoy non ha preso bene il paragone). Così, la condizione per poter governare è scendere a patti con Ciudadanos, formazione catalana, che si è espansa molto repentinamente nel resto di Spagna, arrivando alle elezioni di domenica con l’ambizione di essere il terzo partito, in un derby con Podemos.
A poche ore dalla chiusura della campagna elettorale, oggi ultimi colpi, domani giornata di riflessione, nessuno vuole ammettere che lunedì la Spagna sarà un Paese alla ricerca di patti. Per mesi si è detto: «Ciudadanos sarà decisivo per il Pp», «saremo condannati a capirci», ha ammesso Esperanza Aguirre, contessa (in tutti i sensi) dei popolari. Poi, però, il vice di Rivera, Matias Alonso, ha spiazzato tutti dichiarando a «El País»: «Siamo più affini al Psoe», aprendo le porte a una grande coalizione contro la destra. Rivera ha corretto il tiro: «Non siamo più vicini a nessuno», ma il Pp si è spaventato e ai banchetti in giro per il Paese sono comparsi i titoli de «El País» con lo scenario di sinistra: «Ecco per chi votate se scegliete Ciudadanos».
Future alleanze
Podemos non si sbilancia sulle alleanze e spera di fare qualche colpaccio, ai Comuni di Madrid e Barcellona le due candidate d’area (il partito si presenta con nome e simbolo solo alle regionali) hanno ambizioni di vincere. Ma ai comizi la parola d’ordine è sempre «hechar a la derecha», cacciare la destra, sottinteso: con chi ci sta. Le future alleanze a destra hanno davanti più ostacoli che discese. Ciudadanos si troverà davanti a un dilemma: scendere a patti con il Pp, pregiudicando le elezioni generali di novembre o bloccare il Paese per non perdere la purezza. Un esempio della seconda ipotesi, anche se a parti invertite si sta già verificando in Andalusia, dove la socialista Susana Diaz, a due mesi dalla vittoria elettorale, senza maggioranza assoluta, non riesce a formare una giunta perché le opposizioni, Pp, Podemos, Ciudadanos e Izquierda Unida, le negano il via libera.
«Se si mettono d’accordo con il Pp sarà la prima e l’ultima volta che voterò Ciudadanos - ci dice Andoni, tassista di Valencia venuto a seguire una manifestazione arancione - che cambio sarebbe?». I toni della campagna lasciano intravedere pochi margini di vicinanza tra Rajoy e Rivera, Ciudadanos, infatti, incentra il discorso sulla lotta alla corruzione, argomento tirato fuori per creare imbarazzo nei popolari al potere, per i tanti scandali recenti e non.
Altri bastoni tra le ruote del dialogo a destra sono alcune uscite di Rivera. L’ultima è generazionale: «La politica la devono fare quelli nati in democrazia», ovvero dopo il 1978, l’anno della costituzione, una posizione criticata da tutti, Podemos incluso: «Albert non hai capito il problema», dice Pablo Iglesias, nato proprio nel 1978. Domenica, c’è da scommettere, i due giovanotti faranno pesare tutto, pure l’età.