giovedì 21 maggio 2015

La Stampa 21.5.15
E Renzi in versione mediatore
prepara un vertice con i sindacati
L’incontro decisivo avverrà prima del voto finale
di Fabio Martini


Matteo Renzi deciderà solo all’ultimo momento se entrare anche lui nella Sala Verde. Ma sulla trattativa con i sindacati la decisione più importante, il premier l’ha già presa da diversi giorni. Anche se non ancora formalizzata, la decisione è questa: nella prima settimana di giugno, dopo l’esame del ddl scuola da parte delle Commissioni del Senato e poco prima del decisivo passaggio in aula, le porte di palazzo Chigi si riapriranno ai leader del tre sindacati confederali per un confronto finale nel quale formalizzare eventuali, ulteriori modifiche. Ma la riapertura della Sala Verde (proverbiale luogo della concertazione), anche a Susanna Camusso è un segnale importante: la conferma che Renzi sulla scuola ha cambiato approccio rispetto alle ultime battaglie. È lui stesso ad ammetterlo: «Su questo tema non abbiamo fatto come con la legge elettorale, quando abbiamo detto “prendere o lasciare”, sulla scuola invece abbiamo ripetuto: “parliamone e decidiamo insieme”». Arrivando a pronunciare, a Rtl 102,5, queste testuali parole: «Chi se ne frega delle idee di Renzi! Se un’idea va cambiata, bisogna dimostrare che siamo affezionati alla scuola, non alle nostre idee».
Renzi per una volta si dimostra prudente, trattativista e comunque lascia aperta la strada a modifiche da parte del Senato (con successivo passaggio-bis alla Camera) per due ragioni, entrambe incoffessabili. La prima: il presidente del Consiglio ha preso atto che sulla riforma della scuola, i sindacati sono riusciti ad interpretare il “sentiment” nettamente prevalente tra gli insegnanti, dimostrando di essere altamente rappresentativi di una categoria con una forte influenza sociale (sui genitori). E d’altra parte la cronicizzazione del dissenso da parte della minoranza Pd (che ieri in gran parte non ha partecipato alla votazione finale alla Camera sul ddl-scuola) rende a rischio il passaggio al Senato. I senatori del Pd stabilmente schierati con la minoranza sono ventidue e se anche soltanto quindici di loro votassero a favore di emendamenti «mirati» contro il provvedimento, potrebbero cambiare la natura della riforma.
Tanto vale, si ragiona a palazzo Chigi, bruciare sul tempo i dissidenti e cambiare ancora qualcosa nel testo. Ma senza perdere la faccia. Ecco perché Renzi sottolinea le numerose modifiche già apportate al testo iniziale della maggioranza - sui poteri dei presidi, sul 5 per mille, ma non solo. Ma per decidere quanto aprire, Renzi aspetta il risultato delle elezioni Regionali del 31 maggio. Ben sapendo che anche nel fronte sindacale si stanno aprendo delle crepe. La Cgil ha indetto, ma senza la Cisl, uno sciopero di un’ora nei primi due giorni di scrutinio, ma ha rinunciato al blocco vero e proprio: «Sarebbe stato violare il Dna della Cgil - dice Giuliano Cazzola, dirigente ai tempi di Lama e Trentin - perché colpire utenze “sensibili” come ragazzi e le famiglie è sempre stato considerato un tabù intoccabile in tutte le Cgil».