Corriere 21.5.15
Il premier: «Il dissenso? Asciugato». E scommette sui numeri al Senato
Secondo il leader il dialogo ha funzionato. Il timore per l’astensionismo alle urne
di Maria Teresa Meli
Il voto di ieri, a Montecitorio, ha fatto registrare un numero minore di dissensi nel Pd rispetto all’Italicum. Il particolare non è sfuggito a Renzi, che ha confidato ai collaboratori: «L’opposizione interna si è asciugata. L’interlocuzione funziona».
ROMA L’annuncio della minoranza interna che promette di riprendere la battaglia sulla riforma della scuola al Senato non sembra preoccupare troppo Matteo Renzi.
L’idea del premier è quella di concedere due, tre modifiche in Commissione — di cui si è già discusso in questi giorni — e poi di non mettere necessariamente la fiducia sul provvedimento, che tornerà alla Camera.
Una decisione ufficiale su come agire ancora non c’è e non verrà comunicata adesso, anche se la minoranza, benché Palazzo Chigi smentisca, dà per scontato il ricorso al voto di fiducia.
Nessun eccesso di preoccupazione da parte di Renzi, comunque, anche perché il voto di ieri, a Montecitorio, ha fatto registrare un numero minore di dissensi rispetto all’Italicum. Particolare, questo, che non poteva certamente sfuggire al premier, il quale ha confidato ai collaboratori: «L’opposizione si è asciugata. L’interlocuzione funziona».
A preoccupare veramente Renzi sono invece i dati dell’affluenza alle urne. Se il sei a uno si dà per molto probabile,benché per scaramanzia non si dica troppo apertamente, sono altri i numeri che impensieriscono Palazzo Chigi. E riguardano la percentuale dei votanti. Un dato basso verrebbe interpretato come un primo segno di disaffezione al governo Renzi. A questo va aggiunto il timore che Raffaella Paita, anche in caso di vittoria, non raggiunga in Liguria il quorum necessario per governare da sola e sia costretta a chiedere aiuto al Nuovo centrodestra per formare la sua giunta perché Luca Pastorino ha già fatto sapere che lui non è interessato alla cosa.
Non è un caso, dunque, se ieri uno degli oppositori interni del premier, Vannino Chiti, abbia dichiarato: «La questione principale è la partecipazione alle regionali. Non funziona una democrazia con una bassa presenza di cittadini alle elezioni».
Comunque, anche un’estendersi dell’astensionismo non fermerà la corsa del presidente del Consiglio, che sembra molto determinato ad andare avanti lungo la sua strada: «Io mi sono assunto la responsabilità di governare il Paese e di decidere».
E di nuove decisioni per il futuro, Renzi ne ha in mente molte. Meno decreti legge, innanzitutto. E più decreti attuativi. «Dobbiamo semplificare il fisco — spiega — velocizzare i tribunali e mandare definitivamente in porto la riforma della Pubblica amministrazione. Io credo che se mettiamo ordine in tutto questo, in Europa non ci fermerà nessuno».
Ma il premier, a quanto pare, non ha rinunciato all’idea di affrontare pure la pratica della tv di Stato: «Naturalmente ora dovremo procedere anche con la Rai».
Questo per quanto riguarda i fronti esterni. Poi c’è quello interno, del Pd. La minoranza non sembra avere grande voglia di fare i bagagli e di uscire dal partito. Stefano Fassina sembra aver posticipato il suo addio a dopo l’approvazione della riforma della scuola al Senato. Michela Marzano prima di dare le dimissioni da deputata, annunciate con grande anticipo, aspetterà l’approvazione delle unioni civili.
Gli altri vogliono restare. E sono sempre più spaccati tra chi cerca il confronto con Renzi e chi vuole la guerriglia. A generare questa divisione, due motivi fondamentali. Il primo lo spiega il presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano, che fa parte dell’ala dialogante della minoranza: «Non ci si può muovere come un partito nel partito, non votando mai i provvedimenti del governo, allora si esce... Non capisco Speranza, non è da lui comportarsi così».
Già, «non è da lui», lo dicono in molti. Ma la verità è che l’ala più oltranzista della minoranza è tornata, di fatto, a essere guidata da Pier Luigi Bersani e dai suoi uomini (Maurizio Migliavacca). Loro aspettano al varco Renzi su un altro fronte: la legge sui partiti, per dare seguito all’articolo 49 della Costituzione, e, soprattutto, la revisione, elaborata dal tandem Lorenzo Guerini e Matteo Orfini della forma partito, che riguarda il Pd e il delicato nodo delle nuove regole delle primarie.