La Stampa 16.5.15
Minoranza Pd e sindacato in piazza
Fronte del no verso la prova di forza
Opposizione interna verso l’astensione sul voto finale. E la Cgil rilancia sullo sciopero
di Francesca Schianchi
«Malpezzi a casa», urlano alla deputata del Pd appena arrivata in piazza, renziana che la riforma la sostiene. Poco più in là scuote la testa preoccupato Gianni Cuperlo tentando di rassicurare Stefania, Claudia, Giuliana, precarie di seconda fascia che raccontano che no, loro nelle 100mila assunzioni previste dalla legge non ci saranno, con buona pace dei loro 11 anni di formazione: «Avete ragione, abbiamo depositato emendamenti per cercare di correggere il testo». Nel giorno in cui cominciano i voti sulla riforma, a piazza del Pantheon, all’assemblea pubblica e aperta ai parlamentari convocata dai sindacati per discuterne, a incontrare un drappello di manifestanti si presenta Sel, il M5S, pure Marco Pannella, ma anche parte del Pd. C’è una pausa di un’ora nei voti per consentire di partecipare: dalla maggioranza Pd, oltre alla Malpezzi c’è anche Anna Ascani; e poi il fuoriuscito Civati e gran parte della minoranza, Stefano Fassina sempre più in sofferenza nel partito («la sinistra non si svende», gli gridano, proprio mentre lui dichiara che «se non ci sarà una correzione radicale al ddl scuola il mio percorso nel Pd si interrompe»), l’ex segretario Epifani, Alfredo D’Attorre, Andrea Giorgis, Barbara Pollastrini, i bersaniani Davide Zoggia e Nico Stumpo.
Quel pezzo di Pd entrato in fibrillazione sulla legge elettorale e che torna a preoccuparsi di questo testo. E a promettere battaglia per tentare di vedere approvato qualcuno dei propri emendamenti, su tre punti qualificanti. Uno: un piano pluriennale di assunzione dei precari, come ripete Fassina in una piazza popolata di insegnanti non stabilizzati. Due, i finanziamenti: da Area Riformista di Speranza (assente in piazza perché a Benevento per campagna elettorale) e Sinistradem di Cuperlo hanno presentato emendamenti per sopprimere il meccanismo del 5 per mille, o perlomeno rivederlo, perché così com’è congegnato rischia, spiegano, di favorire le scuole frequentate dai ricchi. Così come non piace l’ipotesi di detrazioni fiscali anche per le paritarie superiori. E poi, tre, si chiede un ridimensionamento dei poteri del preside: «In Commissione sono stati tolti gli aspetti più estremi, ma gli resta il potere di scegliere gli insegnanti, con un margine di discrezionalità forte», bacchetta D’Attorre, che proprio per questo suo dissenso ieri non ha votato l’articolo 2 della legge che fissa il principio del preside-manager. E che non esclude, come Fassina, il voto contrario alla fine: «Dalla risposta del governo su questi punti cruciali dipenderà il mio atteggiamento in Aula».
Una durezza che lo accomuna a Fassina – e non a caso di entrambi si dice nel partito che potrebbero uscire dopo le Regionali - ma che si sfuma in altre aree della minoranza. In Area riformista spiegano che sì, quei punti non funzionano, ma, considerata anche la maggiore apertura di Renzi al confronto rispetto all’Italicum, il massimo di dissenso sul voto finale potrà essere l’astensione. Cuperlo si limita a rinviare la decisione a martedì: «Decideremo in base al testo che esce dall’Aula». Ieri si è arrivati a votare fino all’articolo 7, con pure una scivolata, il governo battuto su un emendamento - per «un errore materiale», s’affretta a dire il dem Rosato - senza conseguenze sostanziali sul testo. Ma i punti caldi, a cominciare dall’articolo che dettaglia i poteri dei presidi, arrivano lunedì. In contemporanea, i sindacati saranno in presidio a piazza Montecitorio. «Se il garante pensa di mettere in discussione il diritto allo sciopero sappia che la reazione sarà dura», avverte il segretario della Flc Cgil, Domenico Pantaleo, «vogliamo poter scioperare anche nel periodo degli scrutini, nel rispetto di scuola, studenti e famiglie».