domenica 10 maggio 2015

La Stampa 10.5.15
Roma-Berlino
La letteratura come ponte
di Gian Enrico Rusconi


Sarà la cultura a rilanciare un rapporto più schietto, più diretto, più profondo tra Italia e Germania? Per superare i momenti di reciproca difficoltà di intesa che si sono registrati in tempi recenti?
Torino ci sta provando con le sue iniziative («Torino incontra Berlino»), con il dialogo ad alto livello tra esperti inaugurato, nel dicembre scorso, dai due Presidenti della Repubblica tedesca e italiana, e non da ultimo con l’impegno costante del Goethe Institut.
Adesso è la volta del Salone del libro di cui la Germania è ospite d’onore. Il programma è intenso e le attese sono alte. Ma se i risultati saranno fecondi, lo si vedrà soltanto a medio e lungo termine. Il compito è impegnativo.
Naturalmente è sbagliato parlare di difficoltà di intesa tra italiani e tedeschi in senso generico e generalizzato con il rischio di ridare fiato ai ben noti disastrosi stereotipi. Bisogna distinguere le opinioni pubbliche e i media che le condizionano; le classi politiche con le loro culture e le loro (in)competenze; gli operatori economici e finanziari ecc. Ebbene in ciascuno di questi settori ci sono opinioni convergenti e divergenti sui rapporti italo-tedeschi più o meno carichi di pregiudizi.
Non va sottovalutato neppure lo scarto generazionale tra giovani e adulti. E’ un aspetto frequentemente evocato. Ma spesso si confonde lo sguardo di simpatia e la qualità dei contatti della «generazione Erasmus», con il semplice e legittimo desiderio dei giovani di trovare (o di sperare di trovare) in Germania opportunità negate nel nostro paese.
Il vero punto da affrontare insieme, italiani e tedeschi, giovani e meno giovani, è se queste disparità, che colpiscono in modo particolare le giovani generazioni, non abbiano la loro radice nell’assenza di una autentica politica europea solidale e corresponsabile. E quindi manchi la volontà di porvi rimedio urgentemente. E’ inutile negare a questo proposito che la potenza condizionante della Germania sembra esercitare soprattutto una influenza frenante.
Ancora diversa è la situazione della cultura, in particolare della letteratura. Al Salone del libro si incontra un tipo di pubblico particolare, attento e spesso esigente. Forse si sta accorgendo che muta la figura dell’intellettuale pubblico, quale è stata trasmessa dalla tradizione (magari attraverso il logorato concetto di «intellettuale impegnato»).
Anche se è una questione che va al di là della differenza tra letterati italiani e tedeschi, mi chiedo se ci sia una sorta di versione tedesca di questo mutamento. Un romanziere-saggista, ospite del Salone, pur parlando in termini positivi di Günter Grass (scomparso recentemente) ne ha sottolineato la distanza rispetto alla sensibilità, alla ricchezza di motivi e alla complessa espressività degli autori di oggi – anche nel modo di affrontare il pubblico dei lettori dal punto di vista etico-politico.
I nuovi autori troverebbero stonato aspirare al titolo di «coscienza critica della nazione», volentieri attribuito a Grass. Eppure a loro modo lo sono. A cominciare dall’intensità del loro rapporto con la storia della Germania. Non conosco culture occidentali che abbiano un’attenzione profonda, sofferta, critica e creativa con la propria storia paragonabile alla cultura tedesca.
Questa potrebbe essere una strada per sollecitare un lavoro analogo fatto con le altre culture, italiana innanzitutto, facilitando un’intimità di dialogo che ancora manca. Non parlo della storiografia professionale, che pure è indispensabile e decisiva, ma della pubblicistica storica (al limite nella forma del «romanzo storico») che sappia comunicare con il pubblico. Parlo appunto della grande letteratura.
Per suo tramite è più facile colmare le grandi lacune di conoscenza sulle lunghe e importanti interazioni sociali, economiche e politiche tra Germania e Italia, al di là della fase dei totalitarismi nazista e fascista che, agli occhi del grande pubblico, rischia di monopolizzare, (s)qualificare ed esaurire la ricchezza dei contatti precedenti e seguenti.
In questa ottica un posto particolare ha l’idea d’Europa che in Germania e in Italia, più che in altre nazioni, ha esercitato per anni una forza trainante di energie e di attese. Oggi – al di sotto delle dichiarazioni ufficiali – sembra prevalere la disillusione se non il risentimento.
In questa infelice e sempre più impopolare Europa la Germania si trova in una posizione difficile.
Nel linguaggio politico questa posizione sembra materializzarsi nel dilemma se essere «una potenza egemone» in Europa o «una nazione di riferimento» esemplare. Oppure, in un’altra prospettiva, se e come una vera egemonia debba tradursi in corresponsabilità verso le difficoltà degli altri membri della comunità. O ancora, come si governa l’interdipendenza tra una Germania apparentemente solida, sicura di sé e in grado di condizionare la direzione di marcia dell’Ue e una parte consistente di membri della stessa Unione in forte sofferenza.
Non è questa la sede per andare a fondo a questa problematica, del resto spesso affrontata su questo giornale. Ci limitiamo a ricordare che in Europa non si può decidere nulla senza la Germania, tanto meno contro di essa. Questa affermazione suona irritante, ma è controbilanciata dalla sostanza stessa della democrazia nell’Unione: discutere, dibattere, convincere, contestare, al limite minacciare, persino ricattare, senza arrivare alla rottura.
Siamo così al punto finale di queste considerazioni: la cultura, la letteratura devono partecipare a questo processo di informazione critica, ragionata, razionale. I tedeschi la chiamano con il concetto semplice e forte di Aufklärung.