domenica 10 maggio 2015

Corriere 10.5.15
Decalogo di una mamma
Lavoro, casa, figli, uomini. E un bivio
Tra acrobazie e l’assedio da rompere
di Silvia Vegetti Finzi


Giornata della mamma, oggi. Pe r certi versi immutabile: dai figli piccoli disegni con cuori, fiori e tenere parole e, dagli altri, regali personalizzati o d’occasione e..., può accadere, un buon libro. Ma il clima non è più lo stesso. Dopo i giudizi critici sul padre, è la volta della madre.
Senza porla sul banco degli imputati ma «volendo essere giusto», Massimo Recalcati, tra i più efficaci interpreti della contemporaneità, sta ridimensionando il piedestallo su cui la tradizione l’aveva issata. E le mamme vive e vere protestano, vogliono essere loro, come stanno facendo da tempo con leggerezza e ironia, ad analizzare, comprendere e condividere la loro condizione. Difficile essere mamma in tempi di crisi, quando tutti i parametri di riferimento segnano allarme rosso: il matrimonio, il lavoro, la casa, i figli, i vecchi genitori. Solo i cani sembrano rassicurarci.
Per sopravvivere all’assedio è necessario farsi acrobate, guerrigliere, astronaute dell’impossibile. Ma non basta sopravvivere, per cambiare le cose occorre innanzitutto individuare i punti più contradditori e conflittuali della rete che ci assedia e tentare di scioglierli.
1 Con il passato. La mamma santa, tutta bontà, dedizione e sacrificio, baricentro della società patriarcale non c’è più. Ma quell’ideale permane nell’immaginario condiviso e per certi versi ci condiziona, facendoci sentire perennemente in colpa.
2 Con il futuro. L’emancipazione ci ha convinto a diventare come gli uomini, a ottenere gli stessi diritti e doveri. Ma la disparità tra le funzioni materna e paterna resta e molto di quanto ottenuto è stato annullato dalla disoccupazione e dalla precarietà sul lavoro. Per cui ci sentiamo tuttora in credito di eguaglianza e pari opportunità.
3 Con i tempi di vita. Le stagioni delle donne sono tutte fuori posto: durante gli studi le ragazze sono migliori dei coetanei ma rimangono più a lungo in attesa del primo impiego e , una volta inserite, ricevono le rare proposte di carriera negli anni in cui i bambini sono piccoli, per essere poi collocate in pre-pensionamento quando, cresciuti i figli, ritornano pienamente disponibili.
4 Con il lavoro. La disoccupazione deprime chi la soffre: toglie sicurezza, autostima, fiducia nel futuro. Ma anche il lavoro non scherza: si fa sempre più esigente per quantità e qualità sino a fagocitare tutte le energie. E la mamma, da divorante (tigre, coccodrillo, serpente) diventa divorata.
5 Con i servizi sociali. In questi anni le esigenze di risparmio, riducendo all’osso le prestazioni sociali, hanno ributtato sulle spalle delle mamme molte incombenze un tempo sostenute dalle istituzioni. E le prestazioni familiari confliggono con quelle lavorative suscitando sentimenti di inadeguatezza in entrambi gli ambiti. Unica risorsa: nonne e nonni.
6 Con il padre dei propri figli. Nonostante la figura del «mammo» abbia inflazionato i mass media, la La27ora è una questione femminile. Circola in Rete, ottenendo un profluvio di consensi, la lettera, vera o finta che sia, di un papà che scrive alla moglie: «Oggi vai tu a prendere i bambini a scuola, che io devo finire di stirare». Forse esistono davvero, almeno tra i più giovani, papà del genere, ma ne conosco pochi. Forse sono un miraggio.
7 Con l’immaginario. Il femminismo ha chiesto agli uomini di essere come noi o per lo meno di essere intercambiabili con noi. E i più generosi hanno risposto all’appello infilandosi guanti di gomma e grembiule da cucina. Ma è proprio quello che vogliamo? Lo scandaglio dell’inconscio femminile ci restituisce ben altri personaggi: il capo carismatico, l’avventuriero stile Clark Gable in Via col vento, il ricco e generoso Richard Gere di Pretty Women, il grande artista, anche se non ancora riconosciuto, e persino il bastardo affascinante. In ogni caso il sogno d’amore, puntando all’eccellenza dell’oggetto, non alla sua normalità, ci condanna alla scontentezza.
8 Con noi stesse. Nella società degli individui, la realizzazione di sé non è un optional ma un dovere. Il che richiede che le energie vengano, almeno in parte, spostate su di noi e, non essendo illimitate, sottratte agli altri. I bambini, sindacalisti di se stessi, sono i primi a protestare: «Voglio la mamma!». E noi, essendo insieme donne e mamme, ci sentiamo una coperta corta. Nessuna vuole rinunciare a promuovere e sostenere la realizzazione dei figli, un compito che, in una società competitiva, impegna non poche risorse, forse troppe. E, nell’incertezza, la testa o i piedi restano al freddo.
9 Con i figli. Difficile tenerli vicini, difficile lasciarli andare. Le nuove mamme sono più che mai impreparate al compito. Spesso non hanno mai giocato a bambole e tenuto tra le braccia un bambino; manca un grembo psichico pronto ad accogliere il nuovo nato, che viene accudito con impegno ma senza spontaneità. L’attaccamento istintivo che lega madre e figlio confligge subito con altre richieste altrettanto urgenti e imperiose. Eppure la mamma continua a pensare a lui e, anche quando non se ne occupa, se ne preoccupa.
Lo sguardo materno, un tempo chinato sul piccino, ora punta lontano e, più che il benessere, intende garantirgli il successo. A questo scopo non lesina impegno e dedizione, anche a scapito della propria realizzazione. Del suo narcisismo cerca di fare le parti, ma le fette sono sempre troppo piccole. E vi è il rischio di sentirsi insufficiente sia come madre sia come donna. Ma lasciamo perdere la perfezione, cerchiamo piuttosto, come raccomanda Winnicott, di essere madri sufficientemente buone. E di contare sulle capacità dei figli di cavarsela da soli in tante occasioni. Di amore si vive ma di troppo amore si può morire, soprattutto quando tende a evitare ai ragazzi ogni rischio, a controllarli e proteggerli sino a sostituirli. Cerchiamo di distinguere la nostra vita dalla loro, consentendogli di tentare, di sbagliare e di riprovare. La vita s’impara solo vivendo. Ed è quello che, tra incertezze e contraddizioni, stiamo facendo.
10 Infranta la moralistica antinomia, mamma-donna, santa-puttana, le carte si sono scombinate e l’immagine idealizzata della mamma è stata travolta dall’ambivalenza.