domenica 10 maggio 2015

Corriere 10.5.15
Terrantica
Un itinerario visivo all’interno del Colosseo
Nel ventre del mondo in cerca di un nostro altrove sospesi tra luoghi immaginari e la voglia di tornare a casa
di Paolo Di Stefano


Conficcato nel ghiaccio al centro della terra, e dunque (secondo la visione cosmologica tolemaica) al centro dell’universo, Lucifero fa mulinare le sue ali gigantesche producendo un vento gelido intorno a sé. Alla vista dello «’mperador del doloroso regno», Dante non muore e non rimane vivo, resta in uno stato di sospensione e di atterrita incredulità.
Dopo essersi ribellato a Dio, Lucifero cadde dall’Empireo sul pianeta, formando una «natural burella», cioè un cunicolo verticale, e fu così che le terre si ritirarono, nel timore di venire a contatto con quell’essere abbietto a tre facce: è per questo che le terre emergenti dell’emisfero australe si spostarono sul lato opposto formando la «gran secca» boreale, cioè il mondo noto, al cui centro si trova Gerusalemme.
Siamo nel XXXIV dell’ Inferno . Mentre dentro quel foro profondo si agita il corpo massiccio del diavolo, raffigurato come un abnorme verme in una mela gigantesca, Dante e Virgilio devono attraversare il centro della sfera terrestre, capovolgendosi per risalire verso il monte del Purgatorio, creato dalla formazione della cavità in cui è incastrato Belzebù.
Dante è stato un formidabile interprete di immaginari cosmologici, purché funzionali al disegno del suo poema. Il pianeta Terra lo affascina, che sia visto da vicino o che sia osservato da molto lontano. Nel canto di Ulisse, il XXVI dell’ Inferno , il Sommo Poeta racconta come il desiderio di conoscenza abbia costretto l’eroe omerico a oltrepassare le Colonne d’Ercole, spingendolo oltre il Mediterraneo, in pieno oceano: lì, prima di essere travolto dalla tempesta, passando nell’emisfero australe Odisseo e i suoi intravedono a distanza un misterioso monte, probabilmente lo stesso Purgatorio che si ritroverà otto canti più in là.
L’eccesso di curiosità geografica è insieme il pregio e il difetto di Ulisse. Il mondo conosciuto non gli basta. Nemmeno a Dante, del resto, basta: per questo perde la diritta via e si mette in viaggio nell’oltretomba. Capita a molti di non essere soddisfatti della Terra e di guardare oltre. Va detto però che se non ci accontentiamo dei limiti terreni, non riusciamo neppure a separarcene o peggio a rinunciarvi del tutto.
«La nostra appartenenza a questo mondo ha qualcosa di ossessivo», ha scritto Cesare Segre introducendo un suo libro sulle immagini dell’altrove (follia o aldilà), «essa ci ha fatto introiettare dei modelli che c’impediscono di immaginare mondi diversi». È talmente vero che anche l’aldilà viene modellato sulla nostra esperienza fisica e spaziale. Dunque viviamo in continua tensione tra il radicamento nel pianeta che ci ha visti nascere e il desiderio di guardare e spingerci oltre, per poi accorgerci che gli altri mondi che abbiamo immaginato (e in cui ci prepariamo forse a sbarcare per l’eternità) somigliano maledettamente al nostro. Uscire dal mondo, che sentiamo ora come culla ora come prigione, finisce per essere un’ambizione e insieme un timore. E comunque, visto che alla letteratura non è sufficiente ciò che esiste davvero, gli scrittori (ma non solo loro) hanno passato il tempo a inventarsi, sulla nostra terra, luoghi fantastici spacciandoli per reali. E qualcuno ci è pure cascato. Basti pensare al mito di Atlantide, che nei secoli, da Platone in poi, ha acceso le fantasie di filosofi, scienziati e scrittori, fino a produrre ipotesi assurde e controverse, che hanno collocato l’isola scomparsa nei luoghi più impensati.
Talvolta con ricostruzioni vere, talaltra con visioni puramente letterarie. Chi non ricorda il capitano Nemo indicare al professor Arronax, fuori di sé dall’entusiasmo, i resti subacquei del continente sprofondato, con le sue montagne vulcaniche, i sentieri ingombri di alghe, i fiumi ribollenti di lava: «Là, sotto i miei occhi, rovinata, distrutta, rasa al suolo, appariva una città con i tetti sfondati, i templi distrutti, gli archi abbattuti, le colonne spezzate a terra...». A proposito di terre perdute, è sempre Verne che fa intraprendere al tenace professor Otto Lidenbrock, studioso amburghese di mineralogia, la faticosa spedizione nell’anti-mondo sotterraneo che culminerà al centro della Terra, dove il tempo si è fermato.
Siamo oltre la metà dell’Ottocento e Verne costeggia la fantascienza, che poi prenderà il sopravvento quando il pianeta, con i marziani di H.G. Wells, comincerà a essere minacciato dalle invasioni extraterrestri: un monito contro il delirio di onnipotenza della specie umana, che troverà in Philip K. Dick, Kurt Vonnegut e James G. Ballard i più feroci e lucidi narratori contemporanei.
Forse sono questi i veri eredi di Dante. Nelle loro pagine si sentono battere ovunque, sempre più angosciosamente, le ali di pipistrello di Lucifero.