domenica 3 maggio 2015

Il Sole Domenica 3.5.15
Susan Neiman, “Perchè diventare grandi?”
È meglio crescere
di Dorella Cianci


Lo storico Ariés ha affermato che gli europei dell’alto Medioevo non avevano ancora chiaro il concetto di infanzia e solo nel XII secolo, a suo dire, i bambini cominciarono a essere considerati abbastanza interessanti per essere ritratti. Ariés non è stato molto condiviso in seguito, però si può concordare sul fatto che l’idea antica e medievale dell’infanzia non era quella sulla quale avrebbe riflettuto Rousseau, considerato da alcuni l’inventore dell’infanzia, e di certo non poteva combaciare con quella odierna della società delle neuroscienze, che hanno imparato a valorizzare le esperienze cerebrali del bambino, nonostante queste siano messe in continuo pericolo dalla tecnologia, che ne assalta la terza dimensione. Oggi stiamo imparando a conoscere il pensiero dei bambini e di questo si è discusso anche durante gli Stati Generali della filosofia con i bambini, ma cosa ne rimane della nostra voglia di essere adulti? Un periodo felice a cui aspirare? Un tempo liberato dalle costrizioni? Oppure, come affermò Goodman, in La gioventù assurda, stiamo creando una cultura che pur riflettendo sui bambini (anche se poi non è a misura di bambino) non lascia spazi autentici agli adulti? La gioventù di Goodman era il popolo consumatore di beni che non riconosceva, in quel tempo vacanziero di privilegi, un diritto negato, quello del lavoro. Susan Neiman, allieva di Rawls, ha di recente pubblicato un delizioso saggio: Perché diventare grandi? La risposta non è semplice e non si sa neanche bene quale sia, né si vuol proporre l’anzianità come momento assoluto di saggezza. Anzi l’autrice è ben consapevole che, di per sé, la vecchiaia non è un requisito sufficiente per avere una capacità di giudizio, però: «In molti campi l’uomo anziano è capace di visioni sintetiche e precluse ai giovani […] I giovani non hanno che delle nozioni vaghe e false» (S. de Beauvoir, La terza età). Il Contratto sociale di Rousseau precisa ossimoricamente che «gli uomini sono costretti a essere liberi», ma in realtà, in alcuni casi, l’unica costrizione che può verificarsi è quella di vedersi costretti a crescere prima del tempo. Ma delle buone ragioni per diventare grandi ci sono: da adulti, se non addirittura da anziani, si conosce, secondo alcuni studi, in maniera più consapevole, la felicità e le scansioni cerebrali hanno dimostrato che i giovani vivono la rabbia o la tristezza in maniera troppo profonda, a differenza degli adulti, i quali hanno imparato a gestire le loro emozioni. Un cinico potrebbe dire che una persona anziana riesce a esser più felice perché ha imparato anche ad abbassare le sue aspettative e ad abituarsi al suo lento declino, ma non è detto che questo sia il giusto punto di vista. La persona adulta non smette di cercare la felicità e l’appagamento, anche se «le ossa avevano cominciato a farmi male nei posti dove prima mi divertivo» (canta Cohen). Neiman concorda con la de Beauvoir nell’affermare che il tramonto della vecchiaia è il fallimento di un’intera civiltà e di un uomo che sta divenendo inaccettabile e che spesso vorremmo rifare da cima a fondo.
Susan Neiman, Perchè diventare grandi? , Utet, Torino, pagg.244, € 15,00