Il Sole Domenica 3.5.15
Nel mondo islamico di al-Jabri
Chiunque abbia interesse per il mondo arabo e la cultura islamica dovrebbe leggerlo
di Sebastiano Maffettone
Chiunque abbia interesse per il mondo arabo e la cultura islamica dovrebbe leggere al-Jabri. Il pensatore marocchino Mohammed Abed al-Jabri (1936-2010) è stato un protagonista della cultura filosofica del suo tempo, in grado di sistematizzare come forse nessun altro la tradizione arabo-islamica. Credo che leggerlo possa aiutarci a capire due questioni fondamentali. La prima riguarda la natura del pensiero politico arabo-islamico, la sua differenza da quello occidentale, i modi con cui possiamo tentare di distinguere al suo interno. La seconda concerne il rapporto tra le distinzioni interne a tale pensiero e i movimenti e i conflitti politici in Medio Oriente negli ultimi anni.
Al-Jabri, nel suo autorevole trattato The Formation of Arab Reason, distingue la cultura araba da quella occidentale dal punto di vista dell’episteme. La cultura occidentale, dalla sua origine greco-romana in poi, sarebbe dominata dal rapporto tra mente umana e natura, un rapporto che consente un’apertura permanente al diverso da sé e in ultima analisi al progresso scientifico. La medesima dualità, che in Occidente esiste tra umano e natura, nel mondo arabo-islamico diventa invece dualità tra umano e divino. La struttura profonda, l’episteme, della cultura araba in questi termini diventa tutta interna all’interpretazione dei testi religiosi e, secondo questa visione, è una cultura del fiqh, cioè dell’ermeneutica giuridica e religiosa. Per cui, se la cultura occidentale è la cultura della filosofia e della scienza, quella arabo-islamica è invece quella dei diversi processi interpretativi della parola sacra in lingua araba. Tutto si svolgerebbe, nel mondo arabo-islamico, all’interno di questa enclosure.
Questa è la causa più chiara della crisi e di quel declino che pervade il pensiero arabo contemporaneo. Allo stesso tempo questa vicenda spiega come mai il riscatto dal declino sia cercato nell’universo di discorso-potere islamico, dando luogo al paradosso di chi cerca il futuro nel passato e immagina l’età prossima ventura della fine della crisi in termini di ritorno a un passato più o meno immaginario. Ogni forma di progresso e ogni sforzo di modernizzazione diventa in questo modo difficile, costretti come sono gli arabi a barcamenarsi tra una conciliazione improbabile con la natura e la scienza da una parte e una tradizione religiosa chiusa e talvolta ostile, come spesso accade soprattutto nel mondo ermetico e sufi cui appartengono importanti filosofi e teologi musulmani.
Tutto ciò spiega quanto sia complicato accostare la filosofia politica arabo-islamica contemporanea, consapevoli come siamo che la filosofia politica, in quanto tale, è un prodotto accademico occidentale. E spiega anche come un nodo del pensiero politico arabo sia il rapporto con l’Occidente e le sue istituzioni, nodo reso più complesso dalla tragedia del colonialismo. Per cui, ancora oggi una questione fondamentale all’interno del pensiero politico arabo è quella che cerca di giustificare la possibilità di un impatto diverso con la modernità tra Occidente e mondo arabo
Una volta compresa la centralità della questione religiosa, una divisione tra diversi atteggiamenti filosofico-politici arabi può essere così concepita: (1) posizioni secolariste, che insistono sul differenziale Est-Ovest e sul vantaggio cognitivo e competitivo che l’Occidente ha ottenuto separando politica e religione, e insistono sulla necessità di seguirlo su questa strada; (2)posizioni islamiste, che attribuiscono il declino presente all’abbandono della retta via della tradizione, dovuto all’occidentalizzazione che comporta corruzione e immoralità, e naturalmente predicano un futuro tutto islamico; (3)riformatori islamici, che cercano una terza via, in grado di conciliare le prime due visioni contrapposte. Su queste premesse non è difficile sostenere che solo i riformatori islamici offrono - se non altro a breve - l’opzione più interessante. Anche solo intuitivamente, infatti, è facile constatare che i secolaristi – al di là dell’argomento di Jabri- non sono espressivi della cultura di cui stiamo parlando e che i radicali islamisti - al di là dell’implausibilità delle loro tesi- non rappresentano per noi una opzione dialogica. Il femminismo islamico, per fare un esempio, conferma ampiamente questa impressione, essendo quasi impossibile raggiungere risultati che affermino diritti delle donne nel mondo arabo al di fuori della piattaforma islamica.
Il secondo aspetto, su cui credo che la lettura di al-Jabri, sia di grande supporto riguarda la possibilità di vedere la linea interpretativa – che il nostro sponsorizza - come capace di farci comprendere alcune distinzioni fondamentali interne al mondo arabo con le loro ricadute nei conflitti politici attuali. Finora, ho insistito sul fatto che nella cultura araba la legittimazione avviene solo all’interno di un orizzonte in senso lato teologico. Questo fatto costituisce un elemento unificante. Le distinzioni interne al mondo culturale arabo sopravvengono – seguendo al-Jabri- quando si discutono i modi di arrivare alla conoscenza di dio che, secondo alcuni, ha luogo attraverso la conoscenza del mondo e secondo altri, è l’altra faccia della profezia. Per dirla in altro modo, nel primo caso il divino e a stretto contatto della ragione, nel secondo invece lo è della spiritualità e dell’anima in un orizzonte segnato dal misticismo ermetico. Per al-Jabri,il modo ermetico-mistico si riconosce soprattutto nelle scuole sufi, da lui lungamente analizzate e, in fin dei conti, nell’universo sciita. Quello che – a mio avviso - si può ipotizzare in proposito è qualcosa di ulteriore. Riguarda il legame tra le tecniche di illuminazione gnostica, che caratterizzano l’ermetismo mistico, e l’insorgere della violenza nel mondo arabo-islamico. Questa violenzaè ben presente anche nel mondo sunnita, e non riguarda solo sufi e sciiti. Ma anche nel mondo sunnita violento opera una rottura epistemologica simile a quella individuata da al-Jabri, una rottura in cui la frammentazione gnostica ed ermetica del discorso conduce all’impossibilità della mediazione razionale e quindi alla violenza.
Mohammed Abed al-Jabri, The Formation of Arab Reason. Text,Tradition and the Construction of Modernity in the Arab World , I.B.Tauris, London, pagg. 462, £ 54,50