domenica 24 maggio 2015

Il Sole Domenica 24.5.15
Ragioni della Sindone
di Giuseppe Ghiberti, Monsignore
Presidente onorario della Commissione diocesana per la Sindone

«Il Sole 24 Ore» del 10 maggio ha pubblicato un articolo di Sergio Luzzatto a commento di un libro di Andrea Nicolotti sulla storia e la realtà della Sindone. La titolatura era molto orientativa: «Perché si venera un falso – La Sindone non ha misteri». A qualcuno “falso” farà pensare alle categorie della speculazione di Popper, a molti altri farà pensare semplicemente a un inganno programmato per determinati scopi, in cui entra sempre il guadagno a danno di altri. Il programma sindonico dunque, secondo il suggerimento del titolo, dovrebbe essere interpretato come realizzazione di inganno e guadagno insieme. In compenso la Sindone, sempre nel titolo, ormai non nasconde più nessun mistero. Vien voglia di vedere le cose un po’ da vicino.
Il contenzioso è per lo più espresso nella domanda: la Sindone è vera, è autentica? Ambedue i termini esigono una precisazione: è vera, cioè corrisponde a quanto si afferma circa la sua realtà; è autentica, cioè realizza le qualifiche circa il tempo e modo della sua origine come asserito nella vulgata della sua presentazione? Siccome il punto fondamentale di tale interpretazione si riferisce all’impiego del telo sindonico nella sepoltura di Gesù, l’applicazione dell’attribuzione di vera e autentica alla Sindone si riferisce al fatto che essa possieda o meno le caratteristiche di telo sepolcrale di Gesù. Le vie di accostamento alla questione sono la ricerca storica e l’analisi dell’oggetto stesso.
Proprio dall’oggetto è indispensabile prendere l’avvio. La Sindone è un lenzuolo antico che porta sulla sua superficie un’immagine singolare: la doppia figura, dorsale e frontale, di un uomo a cui sono state inflitte torture gravi, fino alla crocifissione, seguite dalla morte; dopo la morte è seguito un intervento sul cadavere, assimilabile a una sepoltura. Molte cose non sappiamo, a partire da quel reperto: anzitutto la datazione della sua origine e la formazione di quella strana immagine. Una cosa però è ormai acquisita: l’immagine non è frutto di un intervento pittorico. Su questo punto la discussione dovrebbe dirsi chiusa e la letteratura è ormai abbondante. Le conseguenze sono importanti e orientative: non si potranno prendere in considerazione ipotesi che si muovano nel contesto di una origine pittorica. È la ragione che sottrae i presupposti alla diatriba sorta nel secolo XIV tra i canonici di Lirey, che custodivano ed esponevano la Sindone, e il vescovo di quella diocesi, Pierre d’Arcis. Il fatto che tale vescovo, per comprovare l’origine dolosa dell’immagine sul telo, affermasse che un suo predecessore ne avesse individuato l’autore, senza che peraltro venga fornito alcun dato per identificarlo, fa solo pensare o che si trattasse di un’altra realtà “sindonica” o che l’inganno stesse dalla parte degli informatori del vescovo. È stato scritto molto, anche di recente, su tale antica questione - penso ad esempio alla condivisibile ricostruzione delle motivazioni di Pierre d’Arcis e delle decisioni del papa di Avignone Clemente VII offerta da Gian Maria Zaccone - , evidenziando argomenti favorevoli o contrari alle due parti, ma su questo punto è possibile affermare che la ricerca scientifica ha detto una parola definitiva. Che poi allora nella diatriba fossero stati denunciati anche interessi economici, per il gettito di offerte che procurava l’accorrere di molti pellegrini a quelle ostensioni, è comprensibile, ma non inficia la constatazione di base.
Su questa linea si muove una successiva constatazione: al momento attuale non esiste uno scienziato che possa fondatamente affermare e dimostrare di avere individuato il procedimento che ha dato origine a quell’immagine. I tentativi sono stati molti, possibili a partire dall’esistenza del modello sindonico (senza di esso il procedimento non inizia neppure), ma la riproduzione credibile del modello non è stata mai raggiunta. Parlo del momento attuale, perché non è dato sapere quel che ci riserva il futuro; però la cosa è istruttiva, perché una difficoltà così grande oggi fa pensare che in tempi remoti le possibilità fossero ancora più ridotte. D’altra parte proprio la motivazione che viene addotta per la fabbricazione del “falso”, cioè l’interesse pecuniario (in funzione o di vendita o di sfruttamento delle offerte), rende del tutto strano che non sia stato prodotto che quest’unico esemplare. L’unica risposta possibile è appellare alla unicità del “caso”, che equivale a una resa.
La debolezza della testimonianza storica sull’esistenza di questo reperto è un fatto riconosciuto, ma non unico. È notorio che prima del secolo XIV si possono solo fare ipotesi di un cammino che dalla Francia possa risalire a Bisanzio e di lì a Edessa (oggi Shanliurfa in Turchia, non lontano dal confine siriano), fino a Gerusalemme. Non è l’unico reperto antico che compare nella storia databile solo in tempi molto più recenti che quelli della sua origine. Si pensi ai bronzi di Riace. Ma difficoltà non è prova contraria. Come non lo è il fatto che nel Nuovo Testamento non si trovino cenni a una conservazione del lenzuolo sindonico della sepoltura di Gesù dopo la sua risurrezione. Evidentemente non entrava negli interessi primari della predicazione apostolica, ma ciò non impedisce che in tempi successivi insorgesse la sensibilità per la sua presenza e il suo messaggio. Non si potrà dunque dire che gli “studi umanistici” siano contrari all’antichità della Sindone, perché essi constatano semplicemente un vuoto di informazioni. Importante è che per il momento iniziale, quello della sepoltura di Gesù, la testimonianza dei Vangeli non sia incompatibile con la realtà attuale della nostra Sindone. Mi sembra di averlo potuto evidenziare, sulla scia di altri studi, nel mio modesto lavoro di questi anni. Quanto agli «studi “duri”» – secondo la nomenclatura del nostro articolo - verità richiede una doverosa distinzione: è vero che la datazione con il metodo del radiocarbonio al momento parla di origine medioevale, ma altre orientano in diverso senso. Bisogna evitare ogni pregiudizio contro la scienza, anche quella “benevola” verso la realtà sindonica. La Sindonologia come pseudoscienza, come qualificata nel nostro, che cosa vuol dire? È una pseudoscienza perché si occupa di un oggetto religioso e controverso come la Sindone? Questo sarebbe un vistoso apriorismo ideologico, come si diceva un tempo.
Un elemento però manca sistematicamente – e in questo caso più che mai – negli interventi dedicati alla realtà sindonica e alla legittimità del suo accostamento: l’attenzione all’obiettivo che si propone il promotore e la prospettiva con cui quella realtà viene valutata. Un’ostensione sindonica viene organizzata e promossa solo per un obiettivo pastorale. Se – come aveva detto San Giovanni Paolo II – la Sindone è specchio del Vangelo, è naturale che sia questo l’obiettivo dell’attuale operazione: solo di farne strumento di evangelizzazione. Tale obiettivo non ha rapporto di dipendenza dal giudizio di autenticità della Sindone, che anzi si propone di rivolgersi anche a chi non condivide quel convincimento. Esso si rivolge a ogni persona, credente o no, facendo leva su quel sentimento di natura prescientifica che nasce non appena si avverte la totale corrispondenza tra la vicenda “narrata” dall’immagine sindonica e la vicenda finale della vita di Gesù come ce la narrano i Vangeli (non quelli apocrifi, che su questo punto sono privi di notizie fruibili). Tutto questo non pregiudica la ricerca scientifica, ma non se ne lascia condizionare; cerca e trova giustificazione altrove.
Una nota finale mi sia concessa, a nome anche di colleghi che hanno discusso l’articolo di Luzzatto. Tutti conosciamo e per molti versi stimiamo Nicolotti. Certamente merita di ottenere a 40 anni un riconoscimento universitario per i meritevoli contributi sulla storia del cristianesimo antico. Ci auguriamo però, soprattutto per lui, che questo non avvenga perché ha scritto della falsità della Sindone!