domenica 10 maggio 2015

Il Sole Domenica 10.5.15
Girolamo e Simeone
L’orgoglio e l’umiltà
Due scrittori cristiani complementari: l’uno si dipinge come il più illustre tra gli illustri, l’altro come il più «indegno»
di Gianfranco Ravasi


Oltre ad avere un pessimo carattere, s. Girolamo non brillava certo per umiltà. Nella sua opera Gli uomini illustri a suggello della lista dei 135 personaggi evocati, a partire dall’apostolo Simone Pietro, senza esitazione poneva infatti se stesso: «Io Girolamo, figlio di Eusebio, della città di Stridone..., fino al corrente anno, quattordicesimo dell’imperatore Teodosio [cioè il 393, morirà il 30 settembre 419], ho scritto queste opere» e seguiva un ampio e minuzioso elenco di scritti già editi oltre a «molte altre opere sui libri dei profeti che ho per le mani e non sono state ancora terminate». Nell’edizione latino-italiana delle Opere di Girolamo appaiono ora sia i suoi testi storici – come appunto il De viris illustribus o come la “prefazione” alla traduzione delle Cronache di Eusebio di Cesarea, famoso storico della Chiesa (III-IV sec.) e una “continuazione” di questo stesso scritto dal 326 al 379 – sia le opere agiografiche. In queste ultime sfilano figure eremitiche come s. Paolo della Tebe egizia, che vestiva foglie di palma, si dissetava a una sorgente e si nutriva di datteri e di un pezzo di pane servito ogni giorno da un corvo. C’è, poi, la Vita di Ilarione, nato presso Gaza nel 291, fondatore del monachesimo in Palestina, la cui esistenza era stata una rutilante sequenza di miracoli intrecciata con una solitaria esperienza mistica che trasfigurava l’opera del taumaturgo. Il trittico agiografico si chiude con Malco la cui vicenda è contrassegnata da una presenza femminile: il racconto è pieno di colpi di scena che possiamo solo affidare alla lettura delle pagine geronimiane.
Il celebre traduttore della Bibbia approfitta, infatti, di questa storia per giustificare polemicamente la presenza, accanto a lui, nell’aspra solitudine monastica di Betlemme, di Paola, una nobildonna romana, e di altre matrone, anch’esse votate all’isolamento spirituale. Questi scritti ci presentano, così, un duplice volto del santo dalmata. Una duplicità che può essere efficacemente rappresentata attraverso due tra i vari dipinti a lui dedicati nella storia dell’arte. Da un lato, ecco il Girolamo eremita abbozzato da Leonardo da Vinci in una tavola dei Musei Vaticani, recuperata in modo rocambolesco da uno zio di Napoleone, il cardinale Joseph Fesch (1763-1839): la parte inferiore del quadro era stata adattata a coperchio di una cassa nella bottega di un rigattiere romano, mentre la superiore era stata scoperta dal cardinale presso il suo calzolaio che la usava come piano di uno sgabello. Qui il santo appare con un corpo scavato, genuflesso e torturato dal digiuno, mentre impugna un sasso per percuotersi il petto e con un volto dal quale traspare già il teschio, segnato da occhi ardenti e imploranti.
D’altro lato, ecco invece il Girolamo studioso come lo ha concepito Antonello da Messina nel 1475-76, in un’altra stupenda tavola della National Gallery di Londra. Girolamo è assiso davanti a un codice in uno studio ben attrezzato e inserito in una mirabile composizione architettonica. Scompare l’asceta ed entra in scena quasi un ecclesiastico umanista dedito alle ricerche filologiche, come farà appunto il santo con la sua Vulgata e con l’enorme produzione esegetico-teologica. Curiosi sono i simboli che fanno quasi da assistenti muti allo studioso, la coturnice e il pavone che rimandano alla sacralità e all’immortalità beata, spalancata davanti a chi ricerca il senso profondo della parola divina.
Dicevamo che s. Girolamo non eccelleva in mansuetudine e umiltà (non per nulla era accompagnato da un leone simbolico). Ebbene, all’antipodo poniamo ora un altro scrittore cristiano, vissuto secoli dopo, essendo nato in una regione che s’affaccia sul Mar Nero attorno al 949. Era chiamato Simeone il Nuovo Teologo, fu monaco e studioso prolifico come Girolamo: di lui appaiono ora in versione gli Inni, qualcosa come 10700 versi, una vera e propria autobiografia mistica cantata che traccia, attraverso una profonda catarsi interiore, un itinerario di comunione talmente intima con Dio da generare una sorta di deificazione della creatura. È proprio in questa autorappresentazione intima che Simeone si flagella impietosamente, con accenti talmente forti da rasentare il masochismo o il rischio dell’umiltà “pelosa”. Basti solo qualche frammento di questa confessione incessante: «Io, l’indegno, l’individuo che non vale quattro soldi, peggiore di qualsiasi uomo e di qualsiasi animale irragionevole». Il serpente diabolico «mi teneva nel suo pugno e mi trascinava con forza nei depositi del letame e del sudiciume e in ogni genere di pantani, mi gettava in mezzo alla puzza ripugnante..., mentre compivo rapine, atti di ostilità, uccisioni ingiuste, insulti, scoppi di collera e ogni tipo di malvagità».
È evidente che Simeone cavalca in modo così acceso l’umiltà da sconfinare nell’umiliazione autolesionista, affidata all’enfasi della retorica moralistica. Un’enfasi che si ritrova anche in altri temi di indole più teologica come nel caso dell’evocazione dell’incarnazione e della redenzione di Cristo attraverso un rimando, insistito ed eccessivo fino a rasentare il cattivo gusto, alla sua sessualità (si legga l’inno XV).
Dal pesante realismo morale e cristologico di Simeone passiamo in finale all’alta spiritualità di un terzo autore dell’antichità cristiana. Col testo greco a fronte, con un’imponente introduzione e con un’accurata sequenza di note in calce, Claudio Moreschini ci offre tutte le Opere dogmatiche di Gregorio di Nissa, uno dei grandi Padri della Chiesa di Oriente, nato in Cappadocia attorno al 331, fratello minore di un altro famoso vescovo e teologo, Basilio, entrambi legati a una sorella di forte personalità, Macrina. Eletto vescovo di Nissa, una cittadina di quella regione ora collocata nel centro della Turchia, Gregorio ci ha lasciato una ricca bibliografia teologica che affronta un arco molto variegato di temi, dall’ontologia all’antropologia, dalla riflessione trinitaria alla cristologia, dalla conoscenza mistica all’esegesi allegorica spirituale della Bibbia. In quest’ultimo ambito è da segnalare La vita di Mosè, opera della vecchiaia, ove la lettura del testo sacro lievita fino a fiorire in contemplazione interiore e in parenesi morale. Come Mosè poteva dialogare con Dio “faccia a faccia” nell’atteggiamento dell’amico di fronte al suo amico, così il fedele può ascendere fino al contatto diretto con Dio, la cui infinità rende questo incontro una costante avventura dell’anima che non ha mai una meta terminale. La gamma dei temi affrontati dal Nisseno è, comunque, così varia che il percorso nei suoi testi apre squarci spesso inattesi, come nel caso dell’“apocatastasi”. Con questo termine piuttosto polisemico si delinea il nostro destino ultimo nella risurrezione: si celebrerà allora il ritorno dell’umanità alla condizione primigenia. L’uomo sarà pienamente ri-creato e restaurato ritrovando nell’amore la sua armonia con Dio e con l’intera creazione.

Girolamo, Opere storiche e agiografiche , a cura di Bazyli Degórski, Città Nuova, Roma, pagg. 560, € 88,00.
Simeone il Nuovo Teologo, Inni , a cura di Francesco Trisoglio, Città Nuova, Roma, pagg. 337, € 36,00.
Gregorio di Nissa, Opere dogmatiche , a cura di Claudio Moreschini, Bompiani, Milano, pagg. 2027, € 55,00.