Il Sole 9.5.15
Il cantiere a sinistra tra la sconfitta di Miliband e le spine di Tsipras
Londra e Atene: Miliband sconfitto, Tsipras vincente ma in affanno
Due storie di sinistra diverse ma comunque emblematiche per chi, a Roma, sta studiando un nuovo partito o vuole il ritorno al Pd del passato
di Lina Palmerini
Continua da pagina 1 Le prove a sinistra fervono ormai da alcuni mesi. Fino all’accelerazione della settimana scorsa che ha visto il Pd spaccarsi sulla fiducia al Governo e sul voto all’Italicum. Un passaggio clou che ha riaperto un cantiere che aspira a costruire una sinistra doc, ortodossa, contro quella renziana di matrice popolare e moderata. Che sia la coalizione sociale di Landini o un partito vero e proprio, sul progetto stanno lavorando in molti e perfino Giuliano Pisapia in queste ore si è candidato a fare da pontiere tra il Pd renziano e la futura cosa di sinistra. Ma è soprattutto la minoranza Pd che si sta organizzando per riprendersi la ditta e riportarla su posizioni più a sinistra. Su ciascuna di queste ambizioni vale la lezione di Londra ma anche quella di Atene.
Cominciamo dalla batosta dei laburisti che non è di buon auspicio. Perché Miliband aveva riportato il partito dov’era prima di Blair, spostato a sinistra e vicino al sindacato, esattamente il contrario di quello che era stato il Labour che vinceva. Insomma, l’operazione di ritorno al “come eravamo” non ha funzionato ed è costato non solo la sconfitta ma anche le dimissioni di Miliband. Non è bastato declinare un programma di sinistra sui temi dell’economia e del lavoro per convincere soprattutto mentre i risultati positivi del Governo Cameron erano realtà e quindi più forti di un programma elettorale. E sono mancate pure risposte convincenti sull’immigrazione che ha un impatto proprio sulle fasce più povere e dunque rientra in pieno in una piattaforma di sinistra che non parli solo di accoglienza.
Non ha convinto il Labour sia pure fuori dall’euro e non convincono i socialisti di Hollande. Alle ultime amministrative di marzo sono finiti al terzo posto e sono apparsi privi di un profilo chiaro, stretti tra il richiamo al socialismo e quello all’Europa senza la capacità di saperli coniugare.
E in effetti uno dei cardini del problema sembra proprio questo: la compatibilità della sinistra dentro un’Europa fatta di regole che stressano lo stato sociale, riducono la spesa pubblica, promuovono nuovi contratti di lavoro. Regole non nate per caso ma in ragione dei cambiamenti radicali portati dalla globalizzazione, ondate migratorie, calo demografico che è preoccupante soprattutto in Italia. Questa è la realtà sul tavolo ma, a quanto pare, mancano risposte convincenti dei grandi partiti che fanno parte dei socialisti europei.
In questo senso se Miliband è stata la prova che non c’è un ritorno al passato per la sinistra, quello che accadrà in Grecia sarà la prova di cosa potrà essere una sinistra che vuole restare in Europa. Tsipras ha vinto le elezioni proponendo esattamente un conflitto tra la sinistra e le regole europee ed è questa la partita che tutti stanno guardando. L’obiettivo dichiarato è di cambiare il paradigma di Bruxelles, Berlino e della Bce senza però uscire dalla casa comune sbattendo la porta. Una sorta di terza via, insomma, che prevede una “rivoluzione” dall’interno senza rompere con l’Europa e con la moneta unica. Il punto è di natura economica, cioè un allentamento del dogma dell’austerità, ma anche di sovranità nazionale. Perché il programma elettorale con cui Syriza ha vinto le elezioni non è riconosciuto dall’Europa che pretende profonde correzioni a urne chiuse.
Lunedì c’è un nuovo round all’Eurogruppo ma l’intesa sembra lontana. Dall’esito di questo braccio di ferro si ridisegneranno anche i confini di una sinistra che vuole essere compatibile con l’Europa. Senza ritorni al passato e con programmi credibili. A meno di scegliere l’opzione no-euro, finora monopolio della destra populista.