Il Sole 28.5.15
La selezione dei «presentabili», primarie per legge e l’offerta del Cavaliere che Renzi deve cogliere
di Lina Palmerini
Le ultime ore di campagna elettorale si stanno giocando sulla vicenda degli “impresentabili” e della legalità. Questione fondamentale e prioritaria ma la domanda è anche: chi sono i presentabili? E come vanno selezionati? Mettendo per un momento da parte il test politico per Renzi e la piaga della corruzione, quello che emerge da queste regionali è che non esiste ancora un metodo efficace di selezione della classe dirigente. Nel senso di trasparente, competitivo e funzionante.
Se, insomma, ci si sporge in avanti dal voto di domenica e si guarda oltre le gigantografie di Matteo Renzi e Vincenzo De Luca, che ieri campeggiavano perfino a pagina 7 del Financial Times, si vede un panorama desolante di personalità ma anche un pasticcio sulle regole, liti ai gazebo, ricorsi e code polemiche. E tanto più desolante perché le primarie - e lo stesso premier - avevano creato un’aspettativa di cambiamento che non si è affatto verificata perché – appunto – non si è intervenuti sulle regole per la selezione dei “presentabili”. Tutto è stato lasciato com’è. La lotta politica dentro il Pd è stata fatta solo a Roma sull’Italicum trascurando del tutto la questione dei territori che pure una volta portavano linfa e leader al partito nazionale. Il risultato di tanta noncuranza non sarà solo quello di avere Regioni – forse – non amministrate bene ma ne uscirà male lo stesso leader che infatti ieri veniva messo sotto la lente del Financial Times per non aver saputo cambiare anche in periferia.
E allora, il giorno dopo le regionali, oltre all’analisi del voto sul successo o no di Renzi, il tema che si pone è quello di rimettere al centro un lavoro trasversale di ristrutturazione dei partiti. Con una novità: che Silvio Berlusconi ha aperto alle primarie per legge. Forse sarà una mossa elettorale - molto probabile che lo sia - ma Renzi e la Boschi farebbero male a non enfatizzare questo varco e a non ricominciare da qui dopo aver portato a casa l’Italicum con il patto del Nazareno. Se, insomma, avrà ancora un senso riprendere i fili del dialogo con Forza Italia, l’unica strada porta alle primarie per legge. Perché sono una prosecuzione dell’Italicum e di quella quota di nominati che sopravvive, perché nel partito del Cavaliere sarà un modo per rimettere insieme i vari pezzi invece di lasciarli andare. E, come suggeriva Arturo Parisi, anche per Renzi sarebbe un modo per replicare a quell’accusa di “democratura” che prima o poi può fare male.
In sostanza, l’apertura del Cavaliere può essere in qualche modo lo snodo giusto per far fare un gradino in più alle primarie, dando ai gazebo legittimazione e cittadinanza anche fuori dal Pd. Il sì del centro-destra o di una parte di esso, come dice il costituzionalista Stefano Ceccanti, smonterebbe quell’alibi che ancora sopravvive a sinistra per cui la legge non serve, tanto sarebbe solo il Pd a farle e gli altri continuerebbero a inquinare i consensi. Tra l’altro i renziani, insieme alla minoranza, stanno accelerando sulla legge che trasforma i partiti in personalità giuridiche rendendo più stringenti controlli e criteri di democraticità interna. Bene, perché non inserire anche un elemento fondamentale della vita dei partiti, ossia la selezione della sua classe dirigente attraverso primarie regolate?
Non è solo uno statuto che rende trasparente e vitale un partito ma è soprattutto il modo in cui sceglie chi deve rappresentare gli elettori. Invece questa parte manca. Ed è paradossale non occuparsene in una fase della politica in cui conta la leadership, innanzitutto. Come si vede dalle parti di Arcore, non avere meccanismi di selezione ammazza i partiti.