Il Sole 24.5.15
Regionali e amministrative. Le elezioni si avviano a smantellare la tradizionale alternanza tra Popolari e Socialisti
Spagna, un voto che cambierà 40 anni
di Luca Veronese
Podemos e Ciudadanos, la protesta si fa largo da sinistra e da destra
Le elezioni amministrative di oggi in Spagna possono smantellare il sistema bipartitico nel quale popolari e socialisti si sono alternati per quasi quarant’anni alla guida del Paese. E la rottura con la regola dei due partiti può aprire una fase di incertezza, nella quale l’urgenza di trovare maggioranze e coalizioni obbligherà a difficili compromessi tra forze politiche molto lontane tra loro, nelle Regioni e nei Comuni. Fino a coinvolgere il governo nazionale, guardando al voto politico che si terrà in autunno. Siamo vicini alla svolta: popolari e socialisti hanno già perso ogni certezza incalzati da Podemos e Ciudadanos, due movimenti diversi in tutto che tuttavia, da sinistra e da destra, conquistano consenso cavalcando la protesta dei cittadini spagnoli contro la casta, la corruzione e i partiti tradizionali.
La lunga campagna elettorale iniziata in marzo con il voto in Andalusia, continua dunque - con le urne aperte in 13 delle 17 autonomie regionali e in oltre 8mila comuni - per proseguire in Catalogna in settembre, e poi chiudersi in autunno con le elezioni che rinnoveranno il Parlamento nazionale e sceglieranno il nuovo governo del Paese. Quella delle amministrative è dunque una prova generale per capire dove sta andando la Spagna ma è anche un passaggio significativo in sé: le autonomie regionali controllano infatti oltre un terzo della spesa pubblica spagnola e hanno la totale responsabilità di servizi come scuola e ospedali pur dipendendo dai trasferimenti del centro.
I sondaggi mostrano che i quattro principali schieramenti sono molto vicini in termini di intenzioni di voto: l’ultima rilevazione di Metroscopia vede Podemos, in calo ma sempre primo, al 22,1%, seguito dal Partito socialista al 21,9%, dal Partito popolare al 20,8% e da Ciudadanos al 19,4 per cento. Le analisi più approfondite sul territorio dicono che in 12 regioni e nella grande maggioranza dei comuni le urne non definiranno una maggioranza chiara e nessuno potrà dire di avere vinto. La capitale Madrid potrebbe restare ai popolari, costretti però a una coalizione, oggi impossibile, con Ciudadanos. Barcellona potrebbe passare nelle mani di una coalizione guidata da Podemos.
Il premier Mariano Rajoy spera in un “effetto Cameron”, un successo inaspettato favorito dalla ripresa economica. «La priorità per tutti durante questa legislatura e in quella che verrà è la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. L’unico rischio - ha spiegato il premier - è il ritorno alle politiche ormai fuori tempo dei socialisti che hanno portato la Spagna alla bancarotta». Da gennaio ad aprile l’economia è cresciuta dello 0,9% rispetto alla fine 2014, ritmo più veloce degli ultimi sette anni, confermando di poter raggiungere nell’intero 2014 un aumento del Pil del 2,9%, obiettivo fissato dal governo. Il peggio sembra superato, ma nonostante la ripresa si vada rafforzando trimestre dopo trimestre, il tasso di disoccupazione è ancora vicino al 24%, quella giovanile vicina al 50% e la disoccupazione di lungo periodo vicina al 15%. Ed è ancora tutta da risolvere l’emergenza sociale data da 5,4 milioni di cittadini senza un posto di lavoro su una popolazione di 47 milioni di abitanti. Il leader socialista, Pedro Sanchez, ha attaccato i conservatori proprio sulle politiche di austerity, sulla diseguaglianza aumentata durante la crisi. E ha chiamato con insistenza gli elettori di sinistra a votare compatti, senza entrare in conflitto con Podemos: «Votare per il Partito socialista - ha detto - vuol dire battere la destra».
Per i due outsider, Podemos e Ciudadanos, popolari e socialisti sono il primo nemico da sconfiggere ed è difficile immaginare come si potranno raggiungere accordi di governo dopo una campagna tanto tesa. «Saranno le elezioni più importanti degli ultimi 30 anni», dice Albert Rivera, carismatico giovane leader di Ciudadanos, il movimento dei Cittadini di ispirazione liberale nato in Catalogna in opposizione alle spinte separatiste della regione: il suo programma di centro che si basa sulla riduzione della pressione fiscale potrebbe conquistare una larga fetta dell’elettorato moderato stanco del Partito popolare. «Per la prima volta dopo decenni, gli elettori avranno davvero la possibilità di cambiare, non solo le amministrazioni - ha detto Rivera - ma anche la nostra stessa democrazia». Pablo Iglesias, il leader di Podemos, il movimento anti-sistema nato dalla protesta di pizza degli indignados, ha attaccato senza sosta «la vecchia classe dirigente», «la corruzione diffusa», «gli intrecci di poteri economici e politici». «La rivoluzione è già iniziata: tic-tac, tic-tac, è iniziato il conto alla rovescia, presto conquisteremo il governo», ha ripetuto Iglesias, che pure deve affrontare alcuni contrasti interni al movimento e che non viene aiutato dalle vicende dei cugini greci di Syriza.
Per la Spagna il rischio è che con queste elezioni si apra una fase di difficile governabilità. Come è accaduto in Andalusia, dove la socialista Susana Diaz non riesce a ottenere il via libera a una giunta di minoranza in un Parlamento frammentato. A poche ore dal voto gli indecisi sarebbero almeno il 30%. Anche quando era sull’orlo del default, la Spagna ha sempre potuto contare sulla stabilità del governo popolare di Mariano Rajoy. Con il voto di domani la situazione può cambiare del tutto. «Non credo che la Spagna diventerà d’un tratto ingovernabile - dice José Ignacio Torreblanca, dello European Council on Foreign Relations - ma le cose si stanno ingarbugliando e la scena politica è sempre più imprevedibile».