venerdì 1 maggio 2015

Il Sole 1.5.15
Le riforme costituzionali. Ora strada tutta in salita a Palazzo Madama per il provvedimento che supera il bicameralismo e il titolo V
Al Senato 26 dissidenti, maggioranza a rischio
di Barbara Fiammeri


Roma Il mirino ora va puntato su Palazzo Madama. È lì che Matteo Renzi dovrà fare i conti con lo «strappo» provocato nel Pd dall’Italicum. Sono 26 i senatori che a gennaio manifestarono pubblicamente il loro dissenso sulla legge elettorale e che in questi giorni hanno solidarizzato con la decisione dei loro colleghi della Camera di non votare la fiducia.
Un numero capace di mettere in crisi Renzi, che a Palazzo Madama può contare su un margine per la maggioranza di appena una decina di voti. E proprio dal Senato nelle prossime settimane e comunque prima della pausa estiva dovranno passare provvedimenti strategici, quali la riforma della scuola (ancora alla Camera) e le unioni civili su cui il premier - come si dice - ci ha messo personalmente la faccia. Senza dimenticare ovviamente la riforma costituzionale del Senato, sulla quale la minoranza è già pronta a far saltare il banco. Renzi lo sa bene e per questo invia segnali di pace, mostrandosi disponibile ad andare incontro ad alcune delle richieste della minoranza sia sulla riforma costituzionale che sulla «buona scuola».
Nel frattempo però prosegue il lavoro di scouting per ampliare, se non la maggioranza, almeno la rete di sicurezza a protezione del governo. Un lavoro di rammendo che è cominciato da tempo e che coinvolge parte degli ex grillini (in tutto una quindicina) e quell’ala insoddisfatta di Fi che attende di capire il «che fare?» dopo l’appuntamento elettorale del 31 maggio.
Ma la partita per il premier è complicata. Anche perché sulla riforma della scuola deve fare i conti con i tempi, visto che il provvedimento, come è stato ampiamente sbandierato, porta con sé un pacchetto corposo di assunzioni, da realizzare obbligatoriamente entro metà giugno, per consentire la formazione delle classi del prossimo anno scolastico.
Il voto in aula di Montecitorio è previsto non oltre il 19 maggio. Poi il provvedimento passerà a Palazzo Madama che chiuderà però i battenti la settimana prima delle elezioni regionali. Probabile quindi che, per rispettare i tempi, il Senato si limiti a ratificare il testo della Camera, a meno che Renzi non decida di procedere per le assunzioni con un decreto (magari alla vigilia del voto regionale).
Fronte caldo è anche quello sulle unioni civili che si sta giocando al Senato e in particolare in commissione Giustizia, dove lunedì scade il termine per la presentazione degli emendamenti. In questo caso a mettere in difficoltà la maggioranza saranno i mal di pancia dei centristi che potrebbero rendere difficile l’approvazione del testo in commissione.
Un percorso ostacoli destinato ad esplodere sulla riforma costituzionale, che dovrebbe arrivare in aula (almeno questa è l’intenzione) per i primi di luglio, giusto un anno dopo quel sì che sancì il primo «strappo» della minoranza Pd. Solo che a differenza di allora, Renzi non avrà più l’appoggio di Berlusconi e di Fi. Se Renzi vuole portare a termine il cammino delle riforme istituzionali dovrà mettere sul piatto argomenti convincenti, almeno per parte della sua minoranza. Non sarà facile. Anche perché la questione principale, quella sulla quale si è determinata la rottura più profonda, è l’elezione di secondo grado dei futuri senatori prevista dall’articolo 2, già approvato da Camera e Senato nella stessa versione. Questo non significa però che non si possa aprire una breccia. Magari partendo, da quella norma transitoria che lascia aperta la scelta su come individuare i senatori in attesa che arrivi la legge elettorale attuativa. Si tratterà sempre di un’elezione indiretta ma le possibilità di trovare un meccanismo, che consenta di scegliere sulla base delle indicazioni elettorali provenienti dai cittadini, non mancano (ad esempio favorendo coloro che hanno ricevuto il maggior numero di preferenze).