martedì 19 maggio 2015

Il Sole 19.5.15
La destinazione dei contributi
La scelta del 5 per mille va lasciata libera
di Pietro Reichlin


Tra i tanti paradossi italiani, ne dobbiamo registrare uno nuovo: il sindacato della scuola, e gli studenti che lo seguono, preferisce meno soldi per tutte le scuole, piuttosto che più soldi per tutti, se questi non fossero equamente distribuiti. La questione nasce dal Ddl del governo, secondo cui le scuole entrano tra i possibili beneficiari del 5 per mille della dichiarazione Irpef. Per ogni euro che il contribuente sceglie di destinare alla scuola, 80 o 90 centesimi (a seconda di come andrà la trattativa con le parti sociali) vanno alla scuola di propria scelta, e il rimanente va alle scuole delle zone più svantaggiate. Leggo sul sito della Cgil che il 5 per mille dovrebbe piuttosto finire tutto nel calderone dei finanziamenti pubblici alla scuola. Ma questo significa tradire il principio stesso del 5 per mille, che si basa sul diritto del contribuente di scegliere l’istituzione non profit alla quale destinare questa tassa. La scuola pubblica, a differenza delle istituzioni del Terzo Settore, è già beneficiaria di una buona parte delle nostre tasse. Se il contribuente non potesse scegliere l’istituto cui destinare il 5 per mille, lo Stato utilizzerebbe uno strumento improprio per aumentare i fondi ordinari alla scuola o, più concretamente, indurrebbe il contribuente fare altre scelte. Molti dei 50.000 circa soggetti potenziali beneficiari del 5 per mille producono servizi non meno utili e importanti dell’istruzione. Ad esempio, tra questi abbiamo istituzioni che si occupano di curare i malati. Non mi risulta, però, che qualche organizzazione politica o sindacale sia contraria al fatto che il contribuente possa scegliere l’istituzione sanitaria a cui destinare il 5 per mille perché ciò introdurrebbe sperequazioni nella qualità degli istituti sanitari.
Perché il governo ha scelto di includere le scuole tra i beneficiari del 5 per mille? La ragione non è del tutto ovvia. La spesa totale per la scuola primaria e secondaria in rapporto al numero di studenti è, in Italia, superiore alla media dei paesi Ocse. E, tuttavia, molti edifici scolastici sono fatiscenti, le palestre e gli strumenti di supporto alla didattica sono pochi rispetto ai paesi a noi più simili. La ragione di queste carenze è che abbiamo troppi impiegati, docenti e non docenti. Poiché la spesa per stipendi è, di fatto, incomprimibile, il governo ricorre ad un espediente anomalo, come il 5 per mille, per migliorare le strutture didattiche. Ma la destinazione del 5 per mille è una scelta tra le tante. Se vogliamo indurre i cittadini a scegliere la scuola come destinatario del tributo, dobbiamo cedere a loro, almeno in parte, il diritto di sapere dove e come questi soldi saranno impiegati. È possibile che questa libertà di scelta potrebbe avvantaggiare in misura maggiore le scuole delle zone più ricche del paese, ma, se ciò servirà ad aumentare la quota del 5 per mille destinato all’istruzione, anche le scuole più svantaggiate avrebbero un vantaggio. E le risorse aggiuntive consentirebbero di fare altri sforzi perequativi anche nell'ambito dei finanziamenti ordinari. Nei paesi anglosassoni le donazioni volontarie alle istituzioni formative sono una prassi consolidata. Tali donazioni forniscono un vantaggio competitivo alle scuole e alle università i cui ex alunni hanno avuto più successo nel lavoro o che sono nati presso famiglie facoltose. Questo vantaggio non è un bene da punto di vista dell’equità, ma, nello stesso tempo, la presenza di tali donazioni consente allo Stato di concentrare le proprie risorse sull’istruzione pubblica e sulle borse di studio. L’Italia ha scelto un sistema diverso, più inclusivo e universalistico. Le donazioni nel campo dell’istruzione sono quasi assenti, per ragioni culturali o ideologiche, o perché la pressione fiscale è molto elevata. Può essere che il nostro sia il sistema ottimale, ma per quale motivo dovremmo scoraggiare le donazioni volontarie anche quando queste sono possibili?