Il Sole 19.5.15
Merito e stipendi. Il confronto con l’Europa
Insegnanti italiani allergici alla valutazione
di Claudio Tucci
Da un’indagine svolta alcuni anni fa dall’Ocse su insegnanti di 23 Paesi (Rapporto Talis) emerse che i docenti italiani erano in testa alla graduatoria dei meno valutati del mondo: la stragrande maggioranza di essi non aveva mai ricevuto una valutazione formale od un qualsivoglia feedback né da organismi o soggetti esterni, come gli ispettori scolastici, né da presidi od altri colleghi.
Sono passati otto anni da quell’indagine, i cui risultati fecero scalpore, ma la situazione non è mutata. «L’Italia è praticamente l’unico Paese nel quale gli insegnanti non sono soggetti a una qualsivoglia valutazione del loro operato - sottolinea Giorgio Allulli, esperto di sistemi di scolastici -. In quasi tutti gli altri Paesi europei, in particolare in Francia, Germania, Grecia, Polonia, Portogallo, Spagna e nel Regno Unito, esistono meccanismi di valutazione che producono effetti sulla carriera dei docenti oppure effetti, permanenti o una tantum, sulla loro retribuzione, come in Olanda, Romania, Repubblica Ceca, Svezia».
Nel nostro Paese, invece, è almeno dal 1999 (concorsone Berlinguer) che si cerca di introdurre un sistema di valutazione della classe docente (non ci si è ancora riusciti), e così, per questa via, provare a differenziare gli stipendi che oggi continuano a crescere solo per anzianità (la scuola è un unicum in tutta la Pa “contrattualizzata”). Nel Regno unito, per esempio, la valutazione dei professori è una realtà da 15 anni, e aiuta a migliorare la qualità dell’insegnamento e l’apprendimento. Le verifiche sono annuali, e alla base c’è un vero e proprio processo di gestione della performance dei professori («Performance Management») che si basa su standard professionali che definiscono compiti, conoscenze e competenze dei docenti a ogni tappa della loro carriera. Analogamente a quanto avviene in Germania: in ogni Land sono le linee guida per i dipendenti pubblici a stabilire la necessità di “dare le pagelle” agli insegnanti in determinati momenti del loro percorso professionale (fine del periodo di prova, promozione e trasferimento) e in alcuni casi a intervalli regolari. La valutazione si basa essenzialmente su visite in classe durante le lezioni da parte del capo d’istituto e degli ispettori scolastici, su rapporti redatti dal dirigente, su colloqui con il professore, e sulla valutazione del lavoro degli alunni. In Francia sono gli ispettori che valutano gli insegnanti (per quelli del secondo ciclo, nel giudizio, concorrono anche i capi d’istituto). Un recente studio di TreeLLLe ha evidenziato come anche negli States il tema valutazione sia centrale: un terzo degli Stati americani pratica livelli salariali differenziati per i docenti, e stipendi più alti legati alle performance portano stabilità di organici e attirano anche i migliori laureati. In Norvegia ci sono linee guida per valutare i professori che sono addirittura approvate pure dagli studenti (per valorizzare il senso di “comunità scolastica”).
In realtà la responsabilità della valutazione, all’estero, è gestita in vario modo: «In alcuni Paesi europei solamente dagli ispettori - aggiunge Allulli - mentre in altri Paesi sono i Capi di Istituto ad avere completa discrezionalità per la valutazione dei docenti; tuttavia i modelli più diffusi sono misti e consistono nell’affiancamento di ispettori e presidi, oppure di presidi ed altri docenti della scuola nel processo di valutazione dei professori». I criteri per l’analisi del lavoro svolto in alcuni Paesi sono definiti a livello nazionale (anche come esito della contrattazione sindacale), in altri a livello di scuola.
Gli strumenti della valutazione sono diversi: colloqui individuali, documentazione del lavoro svolto, osservazione in classe, autovalutazione dell’insegnante, risultati conseguiti dagli alunni, test per gli insegnanti, e così via. Genitori e studenti fanno più raramente parte del processo formale di valutazione, ma nella valutazione operata dalla scuola si tiene conto anche di eventuali reclami o di altri feedback provenienti, in modo formale od informale, dall’utenza scolastica.
Da noi il Ddl «Buona Scuola» prova a introdurre un po’ di valutazione e merito stanziando 200 milioni di euro dal 2016 per valorizzare i docenti migliori, e affidando ai presidi, coadiuvati da un comitato per la valutazione composto anche da genitori e studenti, il compito di assegnare questo “premio” in denaro. La norma sta facendo discutere, e i sindacati hanno subito alzato il muro. Ed è sempre più forte il rischio che questi 200 milioni alla fine vengano distribuiti a pioggia. «Cioè all’opposto di un buon sistema di valutazione che deve invece creare competizione - spiega Daniele Checchi, economista alla Statale di Milano, esperto di istruzione -. E poi per incentivare le persone è meglio puntare su una vera progressione di carriera piuttosto che su di un incentivo economico annuale». Il governo deve correre sulla valutazione, a partire dai dirigenti scolastici, aggiunge Checchi: «E su come giudicare i docenti si debbono considerare almeno questi aspetti: il percorso formativo, la certificazione della formazione fatta durante la professione, cosa si fa in classe e teoricamente deve poter pesare anche la soddisfazione dell’utenza, che sono cioè i genitori e gli studenti».