Il Sole 15.5.15
L’Arabia vuole un nucleare «alla pari» con Teheran
Il vertice di Camp David. L’incontro di Obama con i leader del Golfo (e senza il re saudita)
«Per i conflitti in Libia e nella regione la soluzione non è militare ma politica»
di Mario Platero
New York Ci sono due aspetti simbolici che danno la misura di quanto siano difficili i rapporti di Barack Obama con gli antichi alleati del Golfo Persico: dei sei leader che avrebbero dovuto partecipare al vertice di Camp David di ieri fra Stati Uniti e i paesi membri del Consiglio per la cooperazione nel Golfo ne sono venuti soltanto due, in loro vece sono arrivati rappresentanti di alto livello. Alcuni dei leader arabi hanno cercato di salvare le apparenze giustificandosi con malattie. Altri, come Re Salman di Arabia Saudita, hanno semplicemente detto di avere affari di stato più importanti di cui occuparsi. E il sovrano saudita lo ha fatto poco dopo un annuncio con cui la Casa Bianca annunciava la sua partecipazione. E Re Hamadi bin Isa al-Khalifa del Bahrein ha preferito andare a un concorso di cavalli a Palazzo Windsor, su invito della Regina Elisabetta.
Nel comunicato finale, il vertice di ieri ha chiarito che «non c’è soluzione militare» per i conflitti in corso in Libia e nella regione, inclusi quelli in Siria, Iraq, Yemen e Libia, «che possono solo essere risolti attraverso mezzi politici e pacifici». Ma il vertice ha chiarito anche che, al di là delle dichiarazioni formali, vi è ancora profondo risentimento nei Paesi del Golfo per come l’amministrazione Obama ha gestito il negoziato sul nucleare con l’Iran. Questa freddezza si traduce in opportunità perché altri Paesi – e fra questi certamente l’Italia - rafforzino i loro rapporti con i Paesi del Golfo, anche sul piano economico. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto una visita lampo a Abu Dhabi, dove ha parlato degli investimenti in Alitalia e delle partecipazioni UniCredit e delle attività dell’Eni. Ma il suo collega francese François Hollande si è recato in tutta calma in Arabia Saudita, il Paese chiave, dove ha chiuso affari per decine di miliardi di euro. È chiaro dunque che sul piano economico la freddezza fra Stati Uniti e i sei Paesi membri del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo - Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein e Oman – apre nuove opportunità da perseguire con rapidità.
Ma ci sono altre notizie allarmanti che giungono ai margini di questo vertice di Camp David: l’Arabia Saudita ha confermato proprio ieri che perseguirà a sua volta un programma nucleare volto a metterla esattamente in pari con quello che ha fatto finora l’Iran. Questo vuol dire che metterà insieme almeno 5mila centrifughe e avvierà dei programmi di ricerca atomica che le potranno consentire di realizzare una bomba atomica se necessario.
Secondo alcuni commentatori americani, come David Sanger del New York Times, l’intero pacchetto negoziale avviato dal 5+1 con l’Iran finisce con l’aumentare il rischio di proliferazione nucleare invece di diminuirlo, con un problema che viene soltanto rimandato di dieci anni se l’accordo con l’Iran sarà firmato il 30 giugno rispettando i termini attuali dell’intesa. Proprio il New York Times anticipa che la fornitura tecnologica di cui avrebbe bisogno l’Arabia Saudita per avviare il suo programma atomico potrebbe venire dal Pakistan. Ma fonti informate interpellate dal Sole 24 Ore anticipano che in realtà l’Arabia Saudita sarebbe già molto più avanti: il Pakistan che ha potuto realizzare i progetti atomici avviati dal celebre scienziato Khan grazie ai finanziamenti dell’Arabia Saudita, avrebbe già prodotto per conto di Riad almeno una bomba atomica in attesa di essere consegnata su richiesta del “cliente”.
Il paradosso è che i Paesi del Golfo oggi si trovano allineati sulla stessa posizione di Israele per ciò che riguarda l’esito del negoziato nucleare con l’Iran: l’America aveva promesso che avrebbe costretto Teheran a chiudere tutte le centrifughe e che non avrebbe consentito la continuazione di programmi di ricerca che puntano alla costruzione di centrifughe per l’arricchimento dell’Uranio ancora più potenti di quelle di oggi. I Paesi del Golfo sunniti si trovano dunque con un vicino ingombrante, di fede islamica sciita, un paese che viene percepito in espansione, che si rafforzerà sul piano economico quando le sanzioni sul nucleare saranno eliminate, senza adeguate garanzie da parte di quello che credevano essere l’alleato storico.
In cambio delle aperture all’Iran i paesi del Golfo volevano un trattato militare che impegnasse l’America a proteggerli in caso di attacchi esterni. Ma Obama non voluto perseguire un trattato che avrebbe vincolato gli Stati Uniti in modo più formale al di là dell’amminsitrazione Obama. Ieri con parole solenni ha dato una sua rassicurazione personale che i Paesi del Golfo sanno avrà una durata di meno di due anni visto che nel gennaio del 2017 alla Casa Bianca ci sarà un altro presidente.