Il Sole 15.5.15
Afghanistan. Il rischio di una saldatura con l’Isis
Nel Paese non sarebbe attivo solo l’estremismo dei talebani ma anche quello del Califfato
di Roberto Bongiorni
Dove sta andando l’Afghanistan? Riuscirà a scrollarsi di dosso35 anni di guerre e instabilità e avviare quel faticoso cammino verso la democrazia, oppure rischia di essere inghiottito nuovamente dal caos e dall’anarchia?
Le domande che i diplomatici di mezzo mondo si pongono restano apparentemente senza risposta. Il Paese si trova oggi in un delicato periodo di transizione. Dallo scorso 31 dicembre è terminato ufficialmente il ritiro delle truppe straniere. Ufficialmente. Perché la cronica instabilità del Paese ha spinto la Casa Binaca a mantenere 10mila soldati fino a fine 2015, seppur con compiti di addestramento. Così come faranno, per un numero complessivo di qualche migliaio di militari, altri Paesi tra cui l’Italia.
La buona notizia è che l’Afghanistan ha ora un nuovo presidente della Repubblica, Ashraf Ghani. Ma l’ex ministro delle finanze ed ex funzionario della Banca Mondiale, che piace tanto a Washington, è salito al potere dopo una controversa elezione, seguita da sei mesi di serrate trattative culminate in un accordo di spartizione del potere con il rivale Abdullah Abdullah. Il presidente Ghani è ancora vulnerabile, in cerca di legittimità presso le tante tribù, clan ed etnie che vivono nel Paese più tormentato dell’Asia. Emblematico il fatto che per ottenere la fiducia al Parlamento, avvenuta in aprile, il nuovo Governo ha dovuto portare avanti trattative durate otto mesi. I talebani lo sano bene. Ed hanno perciò intensificato gli attacchi nelle aree dove sono più forti. Ma non solo. Il sanguinoso attentato (14 vittime tra cui quattro americani e un italiano) sferrato mercoledì notte contro una guest-house per stranieri nel cuore della capitale Kabul - dove un kamikaze aveva ucciso tre impiegati pubblici su un bus lo scorso 10 maggio - suggerisce che i “Talib” sono ancora molto attivi e insidiosi. Prova ne è che il loro raggio di azione si è esteso a quasi tutte le 34 province del Paese, anche nel nord-est, area da anni considerata più stabile.
Attacchi isolati o una pericolosa recrudescenza a poche settimane dall’inizio dell’estate, stagione in cui in Afghanistan, le violenze toccano i picchi?
Chi preferiva indulgere all’ottimismo vedeva – e non senza ragione – nel miglioramento delle relazioni tra Afghanistan e Pakistan – paese in cui una parte de servizi segreti ha spesso sostenuto i talebani – un punto di forza verso la stabilizzazione.
Ma è altrettanto vero che la lotta contro i talebani procede ormai da 14 anni, senza risultati molto apprezzabili, e comunque ben al di sotto di quanto ci si attendeva quando è iniziata la campagna militare delle forze Nato (Isaf) guidate dall’esercito americano. E le cose potrebbero peggiorare.
Meno di un mese fa, il 18 aprile, l’Isis è entrato con prepotenza anche nel conflitto afghano. E lo ha fatto a modo suo, con due kamikaze che si sono fati esplodere a Jalalabad, importante città ai confini con il Pakistan, uccidendo almeno 33 persone. L’attentato è stato smentito e criticato dai Talebani e rivendicato da un loro importante portavoce passato alle file dello Stato islamico. La notizia di un saldatura tra gruppi estremisti pakistani, alcuni anche ex talebani, e l’Isis, già nota da alcuni mesi, non è affatto tranquillizzante. Dopo le pesanti accuse rivoltegli dal “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, lo scorso mese il mullah Omar, il leader dei Talebani, ha vietato ogni alleanza con lo Stato islamico.
Ma se questa saldatura si estendesse anche ai quei gruppi di talebani ostili all’Isis, la situazione potrebbe ulteriormente degenerare. Se davvero l’attacco lanciato un mese fa nella provincia settentrionale di Kunduz contro le forze governative fosse stato sostenuto da diversi miliziani dell’Isis – come ha accusato il governatore della provincia Omer Safi – si tratterebbe di una nuova escalation nel conflitto. Le autorità di Kunduz ne sono convinte, precisando che sono stati trovati i corpi di 18 miliziani stranieri, tra cui ceceni e uzbeki. Sempre pochi giorni fa centinaia di Talebani hanno preso il controllo del distretto di Jawand, nella provincia di Baghdis, dove un tempo operavano le forze spagnole vicino a quelle italiane. Segnali che non lasciano presagire nulla di buono per il nuovo Afghanistan.