mercoledì 13 maggio 2015

Il Sole 13.5.15
Pd. Premier a tutto campo: «Sinistra masochista perde in Liguria e a Londra - In Campania candidati imbarazzanti ma Pd pulito»
Renzi sfida la minoranza sul voto utile
Fassina verso l’addio ma il leader minimizza: «Problema suo» - Bersani e Prodi all’attacco sull’Italicum
di Emilia Patta


ROMA «Masochisti». «Mistificatore». Il clima che si respira nel Pd a quasi due settimane dalle elezioni in sette regioni è più quello di uno scontro congressuale che quello di un partito impegnato nel successo della campagna elettorale. Tanto che Matteo Renzi fa slittare l’assemblea del gruppo alla Camera, convocata per oggi per eleggere il successore di Roberto Speranza a presidente dei deputati dem, a dopo le elezioni: meglio evitare ulteriori motivi di frizione.
C’è ancora la polemica sull’Italicum appena approvato in via definitiva, che proprio ieri Romano Prodi e Pier Luigi Bersani sono tornati ad attaccare («turbano i 100 capilista decisi dall’alto così come la pluralità delle candidature» ha detto l’ex premier, mentre Bersani torna a chiedere rilevanti modifiche al Ddl Boschi sul Senato per evitare che ci sia un Parlamento fatto tutto di nominati con il conseguente pericolo di «trasformismo»).
C’è - rilevantissima - l’idea di partito, con Matteo Renzi che difende la vocazione maggioritaria del Pd proprio mentre la minoranza parla di pericolosa “mutazione genetica”: «Il Partito della nazione non è una melassa indistinta, un minestrone in cui entra di tutto, ma la prosecuzione del partito a vocazione maggioritaria di Walter Veltroni. È un partito di sinistra con una visione riformista del Paese - dice il premier e segretario democratico durante un forum su Repubblica.it -. Se vedo poi i numeri di quelli che se ne sono andati e di chi è arrivato, soprattutto da Sel, il numero è positivo. Siamo aumentati anche nell’ala sinistra. Non è vero che c’è il rischio di smottamento al centro».
E c’è naturalmente la vicina prova elettorale delle regionali, una sorta di mid term per il premier, con il caso Liguria in primissimo piano. I sondaggi di casa Pd registrano infatti non più di 3-4 punti di scarto tra la renziana Raffaella Paita e il berlusconiano Giovanni Toti. Il timore di perdere la Liguria il 31 maggio è dunque più che reale per Matteo Renzi. L’allarme è scattato. Per questo Renzi, dopo averlo fatto già venerdì sera proprio da Genova, torna ad attaccare quella che definisce «sinistra masochista», ossia la sinistra di Pippo Civati - appena uscito dal gruppo parlamentare e dal partito - che con il suo candidato in Liguria Luca Pastorino sta mettendo a rischio la vittoria della Paita contro Toti (i sondaggi danno Pastorino tra il 12 e il 14%, mentre la Paita non supererebbe il 30%). «C’è una sinistra masochista e una riformista, che è quella che abolisce l’articolo 18 perché quello che facciamo noi con il Jobs act l’hanno fatto anni fa Schroeder e Clinton - è l’accusa lanciata a tutta la sinistra interna -. In Liguria, per esempio, c’è la sinistra masochista che ha perso le primarie e anziché accettare la sconfitta di Sergio Cofferati ha messo in discussione quel risultato e ha presentato un suo candidato, che è Pastorino, non per vincere le elezioni ma per far vincere il candidato di Berlusconi, per rianimare con un massaggio cardiaco Berlusconi». Sullo sfondo, naturalmente, anche il caso sollevato da Roberto Saviano delle liste “sospette” a sostegno di Vincenzo De Luca in Campania. «Alcuni candidati mi imbarazzano eccome, ci sono candidati che non voterei neanche se costretto. Però dico che le liste Pd sono pulite», prova a circoscrivere Renzi non nascondendo appunto l’”imbarazzo”.
Parole, quelle del premier sulla sinistra masochista, che naturalmente non piacciono alla minoranza.?A cominciare proprio da Bersani: «Dire che la sinistra è masochista è una mistificazione: abbiamo visto che si può vincere essendo fedeli agli ideali di un centrosinistra alternativo alla destra: poco o tanto, dall’Ulivo in poi abbiamo sempre vinto così». Né piace alla minoranza, da Gianni Cuperlo a Speranza, il modo in cui Renzi sembra voler liquidare la possibile uscita dal partito di Stefano Fassina: «Spero che Fassina rimanga, ma se non rimane è un problema suo, non nostro». Per Cuperlo e Speranza se Fassina esce «è un problema per tutto il Pd». E in effetti Fassina, responsabile economica del Pd durante la segreteria Bersani e viceministro dell’Economia nel governo Letta, non è Civati: la sua uscita sarebbe più drammatica per quel pezzo di partito. Lui non fa mistero che l’addio è vicino. Anche se lo lega al Ddl scuola in arrivo in Aula alla Camera già domani: «Dal Jobs act alla scuola, è il tracciato di un percorso per me insostenibile».