sabato 9 maggio 2015

Corriere 9.5.15
Renzi, irritazione per la sentenza «Danno al Paese»
Tanto è sospettoso per i metodi e la tempistica adottati dalla Consulta, quanto si mostra cauto nella reazione, e chiede a tutti di «pazientare», di «evitare le polemiche»
Ma ciò non toglie che Renzi consideri la sentenza sulle pensioni «un danno arrecato alla credibilità del Paese».
di Francesco Verderami


Palazzo Chigi e il verdetto «Un danno per il Paese»
L’irritazione di Renzi per l’assenza di comunicazione dalla Consulta
Sono molte le ragioni che hanno indotto il premier a questo convincimento. Certo si è infuriato per l’assenza di etichetta istituzionale della Corte, che ha violato il patto di collaborazione tra organi dello Stato, tenendo il governo all’oscuro del verdetto, e suscitando a Palazzo Chigi molti interrogativi estranei alle logiche giurisprudenziali. E non c’è dubbio che l’emergenza economica provocata dalla sentenza sia un fattore rilevante.
Ma non il più importante, secondo il leader del Pd. A suo giudizio infatti la vicenda rischia di produrre un grave effetto, un processo cioè di «deresponsabilizzazione in chi governa», perché di qui in avanti verrebbe offerto un alibi a quanti — in futuro — decidessero di «scaricare» sui loro successori eventuali falle di gestione: «Tanto la Corte sentenzierà fra qualche anno...».
L’anno che verrà per Renzi è già arrivato, tocca a lui oggi sobbarcarsi l’eredità di scelte altrui, vittima di una sorta di contrappasso della storia, se è vero che si presentò al Paese e ai partner dell’Unione dicendo «basta con i tecnici, che hanno provocato tanti danni in Italia e in Europa». Se il taglio delle pensioni sia stato un danno, un errore, o più semplicemente una scelta dettata dall’emergenza, ora poco importa, il punto è che i cocci sono i suoi.
Anche se gli resta un dubbio che somiglia tanto a una polemica: «Ci fosse stato qualcuno della minoranza del mio partito, in questi giorni, che avesse detto qualcosa... No che non l’hanno detta, allora — da Bersani a Letta — tutti votarono a favore del provvedimento di Monti». Lui che ha scommesso sul «ritorno al primato della politica» è gioco forza costretto a pagare la cambiale che gli impone di cambiare corso. E non sarà facile.
Perché Renzi finora aveva interpretato un unico ruolo. Vestendosi da rottamatore, riformatore, innovatore, al dunque aveva offerto al Paese sempre lo stesso, identico profilo: nella sua narrazione era il «buono» che si proponeva di cambiare il sistema politico con l’Italicum e la riforma del Senato, che si distingueva per misure di equità fiscale con gli ottanta euro, che puntava al rilancio della scuola con centomila nuovi assunti.
Adesso,per effetto di una sentenza della Consulta, gli toccherà la parte del «cattivo», a cui spetterà decidere quanti (e quanto) riceveranno ciò che la Corte stabilisce essere un loro diritto. Proverà a fare di necessità virtù, già sta pensando alla controffensiva mediatica per limitare i danni. Ma è consapevole che saranno molti gli scontenti, e che forse il suo provvedimento finirà di nuovo sotto la lente di osservazione dei giudici costituzionali.
È questa l’altra metà del «danno», stavolta alla sua immagine e al suo modo di proporsi all’opinione pubblica: perché sa che toccare le pensioni significa disorientare i cittadini, provocare un abbassamento del livello di affidabilità dello Stato, innescare un meccanismo di sfiducia e d’incertezza per il futuro. Tutto il contrario di quanto si è proposto di fare da un anno a questa parte, con le dosi massicce di ottimismo che non ha mai smesso di somministrare.
Perciò entra periodicamente in frizione con l’Istat. È vero, l’altro giorno il report dell’Istituto di statistica lo ha soddisfatto, anche se si trattava solo di una previsione del futuro. Ma ancora nel recente passato, appena due Consigli dei ministri fa, Renzi si è lasciato andare all’ennesima sortita contropelo: «L’Istat deve pubblicare i dati? Va bene, pubblichi questi dati. Ma su come darli occorre una comunicazione condivisa con il governo». Ad alleati e compagni di partito, ricorda qualcuno per questa sua allergia verso gli organismi indipendenti: dalla magistratura, alla Commissione europea, fino alla Corte Costituzionale...
Renzi il «buono» e Renzi il «cattivo». Lo sdoppiamento è inevitabile, anche se il premier — nel suo negoziato con Bruxelles — sta tentando di camuffarsi nel suo nuovo ruolo, mirando a posticipare il varo del provvedimento sulle pensioni dopo le urne delle Regionali, per evitare emorragie nel consenso. Tuttavia è consapevole che il tema impatterà sulla campagna elettorale, sa che gli avversari alzeranno il livello della polemica, ed è alla ricerca di una strategia di comunicazione che sia più efficace di quella che «non ha funzionato» per la riforma della scuola. L’eredità pesa.