Corriere 9.5.15
Che cosa cambia per i pensionati? La sentenza della Consulta Effetti per 5,1 milioni di pensionati
Le ipotesi allo studio per i rimborsi. Ripagare tutti costerebbe 14 miliardi
Sarà usato il tesoretto per il buco delle pensioni «Ma non basterà»
di Domenico Comegna
Fra le ipotesi allo studio per limitare il costo dell’operazione rimborso degli arretrati, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni deciso dal governo Monti, c’è anche un contributo di solidarietà. Un prelievo aggiuntivo che potrebbe essere applicato agli assegni più alti, al di sopra dei 5 mila euro lordi al mese. Una buona parte dei soldi deve venire per forza da altre coperture, e da solo «il tesoretto da 1,6 miliardi non basta». Sarà dunque necessario trovare risorse dallo stesso sistema pensionistico, senza ridare tutto a tutti e limando qualcosa per il futuro.
La soglia dei 1.400 euro e le possibili restituzioni graduali La decisione dei giudici dovrà essere applicare automaticamente
Quanti e quali sono i pensionati interessati?
Tutte le rendite che alla data del 31 dicembre 2011 erano in pagamento con un importo superiore a 1.403 euro lorde (1.200 euro al netto delle tasse), ossia il triplo del trattamento minimo di allora. Le pensioni gestite dall’Inps alla data del primo gennaio 2015, con esclusione di quelle di tipo assistenziale (invalidità civili e pensioni sociali), sono circa 14 milioni e 300 mila. Di queste, 5 milioni e mezzo, grosso modo, registrano un importo superiore a 1.500 euro. Eccoli, dunque, gli assegni interessati alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il congelamento dell’indicizzazione. Le pensioni oltre i 1.403 euro, lo ricordiamo, sono state bloccate dalla riforma Fornero, e per ben due anni non sono state adeguate al caro vita. Il blocco del 2012 e del 2013, inoltre, ha comportato una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (niente aumenti sugli adeguamenti). Nel biennio 2014-2015 invece l’adeguamento è stato calcolato sull’intero importo, con una percentuale del 100%, ma solo per tutti quelli che hanno un assegno fino a tre volte il minimo, mentre è diminuito per le altre categorie d’importo dallo 0,95% fino allo 0,40% (quest’anno con l’inflazione 2014 allo 0,2%, l’adeguamento praticamente non c’è stato). Senza tener conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva una volta. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, per farla breve, gli assegni Inps hanno visto praticamente evaporare il loro potere d’acquisto.
A quanto ammonta il “buco” nei conti pubblici?
È la guerra delle cifre. In un primo momento, l’Avvocatura dello Stato aveva stimato il valore del blocco in 4,8 miliardi di euro. Ma questa somma andrebbe più che raddoppiata, perché l’adeguamento all’inflazione resta incorporato nella pensione e quindi si trascina negli anni successivi. Bisognerebbe rimborsare quindi anche per il 2014 e 2015. Inoltre, andrebbe prevista una maggiore spesa per gli anni prossimi, dovuta al ricalcolo delle pensioni stesse e al fatto che i futuri adeguamenti all’inflazione avverranno su un importo pensionistico maggiore. Le organizzazioni sindacali stimano che la mancata indicizzazione, ha sottratto ai pensionati ben 9,7 miliardi, pari ad una perdita media pro-capite di circa 1.800 euro. E i calcoli fatti a tavolino (Inps e Ministero dell’Economia) dicono che la sentenza costituzionale costerebbe non solo 10 miliardi di euro per chiudere i conti con il passato. Ma anche 5 miliardi l’anno da qui in avanti. Un peso non sostenibile, anche considerando che quei 5 miliardi sono lordi e quindi in parte tornerebbero indietro allo Stato sotto forma di tasse. Sono comunque troppi. Da qui l’idea di introdurre diversi scaglioni di rimborso, restituendo ad alcuni tutto, ad altri solo una parte, ad altri niente (i soliti pensionati “d’oro”, ossia coloro che godono di un assegno lordo di 3 mila euro, poco più di 2 mila euro netti in tasca). Il meccanismo, però, sarà più complesso di quello immaginato all’inizio.
Cosa fare per farsi rimborsare?
A seguito della pubblicazione (lo scorso 30 aprile) della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della cristallizzazione della perequazione automatica, la norma che la prevedeva (l’articolo 24, comma 25, della legge 214/2011) ha cessato di avere efficacia, con effetto retroattivo, dal giorno successivo (ossia dal 1° maggio). Questo è quanto stabilisce la stessa Costituzione (in base all’articolo 136). Il lettore deve scusarci per il tecnicismo utilizzato, ma era necessario per inquadrare meglio la questione. Ebbene, data l’automaticità degli effetti della pronuncia della Consulta, non sembra dunque consentito che un possibile provvedimento (si parla di un decreto legge) approvato oggi, possa incidere retroattivamente su un diritto già entrato nel patrimonio dei pensionati interessati. Non serve quindi presentare alcun ricorso all’Inps. Anche se le maggiori organizzazioni sindacali si stanno attrezzando per operare da intermediari, se non altro per sollecitare l’ente a fare in fretta. In proposito, l’Inps ha già fatto sapere che eventuali domande di ricostituzione (di ricalcolo) della pensione non potranno essere accolte, fino all’adozione di specifiche iniziative legislative.