martedì 19 maggio 2015

Corriere 19.5.15
Di Matteo contro il Csm: mi avete scientificamente umiliato
Il ricorso del pm per la bocciatura alla Procura nazionale antimafia. «Disagio morale e umano, è una mortificazione»
di Giovanni Bianconi


ROMA Umiliato e beffato dal Consiglio superiore della magistratura, con una manovra studiata a tavolino contro di lui. È l’accusa lanciata dal pubblico ministero di Palermo Nino Di Matteo, dopo la bocciatura della sua candidatura alla Procura nazionale antimafia; la scelta è caduta su altre tre concorrenti, e lui è finito all’undicesimo posto, attraverso una «sistematica, algebricamente calcolata e calibrata sottovalutazione dell’ineccepibile e solidissimo profilo professionale del ricorrente».
Così hanno scritto gli avvocati Mario Serio e Giuseppe Naccarato nella richiesta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio di annullare la decisione del Csm, votata a maggioranza l’8 aprile scorso. In altre parole: un’operazione organizzata in ogni dettaglio per estromettere il pubblico ministero che rappresenta l’accusa nel processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e Cosa nostra (e continua a indagare su quel filone d’inchiesta) dalla Superprocura.
Più che un atto difensivo, le trenta pagine sottoscritte dai difensori di Di Matteo sono un indice puntato contro il Consiglio, dai toni durissimi. In alcuni passaggi indignati, per sostenere la pretesa ingiustizia subita dal pm più protetto d’Italia, minacciato a più riprese da Totò Riina nei suoi proclami carcerari. Passaggi come questo: «La principale ragione che ha indotto il ricorrente a insorgere è di natura congiunta, morale e professionale. Per via della umiliante pretermissione (cioè la mancata valutazione, ndr ) del valore degli anni di sacrifici, rischi, impegno in cui si è articolata la carriera del ricorrente al servizio della giustizia». Non solo: suona «beffardo» il fatto che poco prima di nominare altri tre magistrati, lo stesso Csm gli abbia proposto un trasferimento d’ufficio per motivi di sicurezza, in via del tutto eccezionale, «con ciò rivelando platealmente il suo orientamento negativo all’accoglimento della domanda» per la Procura nazionale.
A questo si sarebbe aggiunta una«inconcepibile sottovalutazione» del curriculum di Di Matteo, nonostante i pareri acquisiti che ne attestavano le «straordinarie capacità professionali, le sue elevate capacità inquirenti caratterizzate da tenacia, determinazione ed acume investigativo». Da questa scelta gli avvocati traggono una morale: «Non è incoraggiante per la magistratura italiana apprendere che queste doti, spinte fino all’annullamento della possibilità di vivere una vita senza il costante terrore di vedersela violentemente tolta, valga per il suo organo di governo autonomo soltanto i due terzi del punteggio massimo per il posto di sostituto procuratore nazionale antimafia».
Il riferimento è alla classifica stilata dal Csm relativamente alle «attitudini specifiche dei candidati in reati di criminalità organizzata». In base all’esperienza maturata in questo settore, i pretendenti possono ottenere una valutazione da 0 a 6 punti; i primi due nominati — la pm pugliese Eugenia Pontassuglia e il sostituto procuratore generale di Catanzaro Salvatore Dolce — hanno avuto 5,5 punti, il terzo — Marco del Gaudio, pm anticamorra a Napoli — 5. Di Matteo s’è fermato a quattro. Avesse avuto il massimo come secondo i suoi avvocati meritava, cioè 6, sarebbe scattato al primo posto della graduatoria.
Al Tar i difensori del pm antimafia hanno chiesto di sospendere gli effetti della decisione del Csm, per «prevenire la pesante condizione di disagio morale, umano e professionale conseguente all’ingiusta mortificazione inflitta al ricorrente». Nel frattempo per la protezione di Di Matteo è arrivato il bomb jammer , dispositivo per prevenire gli ordigni attivati a distanza, normalmente usato nei teatri di guerra, che però non si sa come utilizzare nei suoi spostamenti per via dei rischi per la «popolazione civile». Inoltre il magistrato ha appena dato alle stampe un libro intitolato Collusi - Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia , nel quale — si legge in copertina — «il magistrato più temuto dalla mafia racconta il nuovo potere criminale, e come fermarlo».