lunedì 18 maggio 2015

Corriere 18.5.15
Scuola
La lotta del contestatore fuori corso «L’ultima volta ho pianto 29 anni fa»
Bernocchi, capo dei Cobas: sciopero giusto, il premier va fermato
di Fabrizio Roncone


Sei il grande capo dei Cobas. Hai convocato due giorni di sciopero per bloccare gli scrutini nelle scuole d’Italia. Sei nei titoli dei giornali ancora una volta. Con i tuoi 67 anni, e gli ultimi 50 trascorsi — come ripeti sempre — a difendere i più deboli, potrebbe cominciare a bastarti: e invece no, pensa Piero Bernocchi.
«Perché uno arrogante come Renzi non mi era mai capitato davanti, mai».
Insegnante di matematica in pensione, membro del Forum sociale mondiale, ultimo incontrastato leader di piazza e di corteo: era a Valle Giulia, quando le camionette della polizia sgommavano grigioverdi, e poi non è mai più mancato. Ha sfilato con Rossana Rossanda e Mario Capanna, con Adriano Sofri e con Oreste Scalzone, con Luca Casarini e con Francesco Caruso (ha pure diretto Radio Città Futura, «dopo quella catastrofe che fu il sequestro di Aldo Moro»).
Generazioni di questori: «Piero, tenga a bada i suoi».
Generazioni di studenti: «Piero, che facciamo?».
Generazioni di cronisti: «Piero, sì, tranquillo: il tuo comunicato è arrivato».
«Io non sono religioso. Credo che sparirò. Ma prima di sparire vorrei riuscire a cambiare qualcosa...».
Negli ultimi giorni si sta dedicando alla riforma della scuola.
«Lo sciopero non solo è legale, il garante si studi le regole, ma anche necessario. Occorre dare un segnale forte. Quello va fermato».
Quello chi?
«Renzi. È riuscito a farmi rimpiangere certi premier e certi ministri democristiani. Ti sedevi al tavolo delle trattative e quelli cominciavano a dirti subito che, più o meno, avevi ragione su tutto. La loro idea di politica era zuppa di cultura cattolica: capire, incontrare, inglobare...».
Con Silvio Berlusconi, però, non avete più trattato.
«Vero: trattare con lui era impossibile. Ma occorre riconoscere che ci ha sempre rispettato. Per dire: quando vide al Circo Massimo 3 milioni di persone protestare contro la modifica dell’articolo 18, si fermò, fece un passo indietro. Renzi, invece, ha un’arroganza tutta sua, tragicamente originale».
Originale, in che senso?
«Ha quest’idea di saltare, completamente, il confronto con le rappresentanze sindacali. Pretende di parlare direttamente al popolo. Un esempio? Il 5 maggio scorso gli piantiamo uno sciopero con l’80% di adesioni, e lui come commenta? Chi se ne frega, dice, io rappresento il resto dei cittadini. Un premier-padrone. Che, infatti, con la sua riforma, ha inventato la figura del preside-padrone. Un preside che dovrebbe essere in grado di valutare, ingaggiare, premiare. È chiaro che Renzi si proietta in quel preside: il preside dovrebbe comportarsi a scuola come lui già si comporta nel Paese».
Duro, il Bernocchi. «L’ultima volta che ho pianto fu ventinove anni fa, quando morì mio padre».
Un filo permaloso: «Enrico Mentana, a “Bersaglio mobile”, su La7, ha fatto fare un servizio per dire che sono un professionista della protesta. Mi fa ridere, mi fa. Forse si confonde con certi altri che, dopo il terzo corteo, sono diventati deputati. Io non ho mai ceduto al corteggiamento pitonesco della politica, al fascino del denaro e di quel potere. Io vivo di pensione e di ideali. In America Latina è pieno di persone che vivono così: da noi sembra un fatto strano, sospetto».
Mai violento fisicamente. «Quasi mai. Una volta, negli studi di Canale 5, ebbi una lite con il giornalista Filippo Facci. Dopo esserci scambiati un buon numero di parolacce, Facci venne verso di me in atteggiamento minaccioso. Gli dissi: “Togliti almeno gli occhiali”. Intervenne Paolo Liguori: “Filippo, ti fai male, lascia perdere”».
Tifoso della Roma, celibe («però la prego di non indugiare sull’argomento»), ha scritto quindici libri. Titolo dell’ultimo: «Oltre il capitalismo».
Ecco, a proposito.
Gira una voce: l’unico vezzo capitalista che si concede Bernocchi è il mantenimento del colore dei capelli...
«Può essere più esplicito?».
Sono troppo neri.
«E allora?».
Se li tinge.
«Cosaaa? Ancora con questa storia?».
Come non detto.
«No no... facciamo una scommessa, invece: scelga lei un barbiere, ci andiamo insieme e io mi faccio esaminare. Che poi...».
Che poi cosa?
«Ha per caso visto Cacciari, ultimamente? No, dico: pure lui nemmeno un capello bianco, eh?» .