domenica 17 maggio 2015

Corriere 17.5.15
L’Ucraina degli Uniati, una frontiera religiosa
risponde Sergio Romano


Un quesito a proposito degli uniati (cattolici di rito bizantino) che subirono dure persecuzioni da parte del regime sovietico fino alla loro forzata sottomissione al Patriarcato ortodosso di Mosca voluta da Stalin. Con la dissoluzione dell’Urss, gli uniati hanno recuperato la loro storica condizione di appartenenza alla Chiesa di Roma, ma attualmente qual è la loro dimensione e vitalità nel contesto della Russia e più particolarmente in quello dell’Ucraina ove la loro presenza ha sempre avuto un ruolo molto significativo?
Sergio Balanzino

Caro Balanzino,
I cattolici di rito greco sono i figli di un divorzio religioso (quello fra Roma e Costantinopoli nel XV secolo) e vivono da allora precariamente lungo il confine che separa il mondo cattolico da quello ortodosso. A Mosca e in altri centri dell’Ortodossia la loro «ambiguità» è percepita come una sorta di intollerabile eresia. Là dove il confine religioso è anche, soprattutto in alcuni momenti storici, un confine statale, come nel caso dell’Ucraina, la loro sorte dipende dalle vicende della politica internazionale.
Quando la Russia, dopo le guerre napoleoniche, estese il suo potere all’intera Polonia, gli uniati perdettero il loro maggiore protettore, furono costretti a rompere i rapporti con Roma e divennero, a tutti gli effetti, ortodossi. Riconquistarono la loro individualità religiosa dopo la Grande guerra e la guerra russo-polacca del 1921. Ma la perdettero nuovamente quando Stalin, alla fine della Seconda guerra mondiale, regalò i loro beni al Patriarcato di Mosca e li costrinse a vivere in clandestinità.
Le riforme di Gorbaciov e il suo desiderio di buoni rapporti con la maggiore istituzione religiosa dell’Occidente cambiarono ancora una volta la condizione degli uniati. Grazie all’incontro di Giovanni Paolo II con il presidente sovietico a Roma nel dicembre 1989, rientrarono in possesso dei loro beni e divennero nuovamente liberi di praticare il loro culto alla luce del sole. Ma questo non impedì che gli ortodossi di Mosca e di Kiev continuassero a considerarli intollerabilmente scismatici. Le origini polacche di Giovanni Paolo II complicarono ulteriormente la questione. Quando il Papa lanciava messaggi concilianti verso il Patriarcato di Mosca e annunciava il suo desiderio di visitare ufficialmente la Russia, Mosca rispondeva che sarebbe stata lieta di accoglierlo come capo di Stato, non come capo della cristianità. Né Boris Eltsin, né Vladimir Putin erano disposti a guastare i rapporti con il Patriarca di Mosca per fare un piacere al Papa polacco.
Benedetto XVI aveva altre origini nazionali, un altro concetto dell’ecumenia e un evidente desiderio di promuovere un nuovo incontro fra cattolicesimo e ortodossia. Francesco sembra muoversi nella stessa direzione e vorrebbe superare le vecchie diffidenze che la parola «uniate» continua a evocare. Ma gli uniati ucraini (circa 5 milioni secondo stime non facilmente verificabili) sono uno scoglio che non è facile aggirare. Roma non può rinunciare a una comunità di fedeli che ha vissuto momenti particolarmente difficili. La Russia post-comunista è ormai legata alla sua Chiesa da un rapporto non molto diverso da quella «sinfonia» che legava l’imperatore bizantino al suo patriarca.