domenica 17 maggio 2015

Il Sole 17.5.15
Grin o Grexit
Tsipras e le ultime giornate di Atene
di Carlo Bastasin


Entro dieci giorni, senza aiuti europei, le casse di Atene saranno completamente vuote. Ma già ora Alexis Tsipras si trova di fronte a una scelta disperata: può riscrivere da capo un programma di riforme che tradisca tutte le promesse elettorali; oppure può sostenere che l’onore di Syriza e la sovranità dei greci non si piegano neanche di fronte al fallimento del paese. Una cosa non potrà fare: procrastinare la decisione. Sono gli ultimi giorni di Atene: entro fine maggio le sorti della crisi greca e dell’euro saranno decise.
La scena finale si svolgerà nella prossima e cruciale riunione dei ministri delle finanze dell’Eurogruppo. L’incontro dovrebbe tenersi tra pochi giorni a Riga, ma si sta valutando l’opzione di una convocazione di emergenza anche nei giorni successivi. Nella riunione, l’Eurogruppo giudicherà il nuovo piano di riforme che il governo di Atene dovrà presentare. Chi ha visto il testo provvisorio è molto preoccupato, conterrebbe 24 proposte diverse di aumenti di tasse, ma nessuna riforma dei mercati. Una nota interna sfuggita allo staff del Fondo monetario osserva che Tsipras ha «invertito il corso delle riforme del sistema pensionistico, del mercato del lavoro (dove progressi erano stati fatti) e della pubblica amministrazione». Il corso delle nuove politiche non è invece specificato. Inoltre mancano «riforme strutturali di politica fiscale», Un negoziatore definisce il documento greco «non in continuità col memorandum d’intesa sottoscritto dal governo Papademos nel marzo 2012», in occasione del secondo programma di assistenza tuttora in vigore. Ma solo se il nuovo memorandum passerà l’esame dell’Eurogruppo sarà possibile salvare Atene.
Se all’ultimo Tsipras cambierà il piano, si procederà rapidamente con gli aiuti secondo un processo che è già stato deciso. Per prima cosa verrà prolungata di alcuni mesi la durata del secondo programma di assistenza, già protratto fino alla fine di giugno. Quindi si metteranno a disposizione risorse per nove miliardi di euro già disponibili per il Fondo di stabilità del sistema finanziario ellenico (Hfsf). I fondi erano stati bloccati a febbraio per evitare che fossero utilizzati dal nuovo governo per spese pubbliche. Ma l’Eurogruppo è pronto a revocare la propria decisione, consentendo ad Atene di utilizzare i nove miliardi per superare i propri impegni debitori più ravvicinati. Atene deve pagare 11 miliardi tra giugno e agosto. Il primo pagamento critico sono 1,5 miliardi da versare al Fondo monetario il 5 giugno. Mancare quel pagamento sarebbe il detonatore della crisi.
Dal punto di vista finanziario un’intesa sembra di mutua convenienza e i negoziatori europei sono tentati dall’accettare un accordo anche se “sporco”. La Commissione per esempio ha già rinunciato alla richiesta di un surplus di bilancio del 3% per il 2016 e 2017. Ma gli ultimi documenti presentati da Atene contengono impegni e previsioni giudicati troppo poco credibili. La produzione industriale sarebbe aumentata del 5% proprio mente il paese rientrava in recessione. Nessuno può verificare le statistiche. Ai rappresentanti del Brussels Group (l’ex troika) non è più garantito l’accesso agli uffici ministeriali ad Atene. Uno dei capi missione racconta che da una settimana non riesce a mettersi in contatto telefonico con gli interlocutori greci. Qualche aspetto di procedura è stato migliorato con il commissariamento di Yanis Varoufakis, ma nella sostanza poco è cambiato: misure generiche su impianti incomprensibili. Il Fondo monetario ritiene che un accordo “sporco” su dati fittizi violerebbe il proprio mandato e sarebbe bocciato a Washington. Ma senza accordo, «non c’è possibilità che Atene ripaghi i propri impegni» e in tal caso, con un debito non sostenibile, i creditori dovranno rinunciare a parte del denaro dovuto.
Ma i problemi sono anche europei e di natura politica. A Bruxelles si dà per scontato che il nuovo memorandum sarà peggiore del programma precedente, sia dal punto di vista degli equilibri fiscali, sia da quello delle riforme. Tuttavia un accordo “sporco” creerà problemi politici in molti paesi, tra cui Finlandia e Portogallo, che devono approvarlo. Lisbona ritiene di aver accettato sacrifici più severi di quelli di Atene e il governo si sta scontrando con il Fondo monetario per non aver compensato misure fiscali bocciate dalla corte costituzionale. Dopo le recenti elezioni, la posizione di Helsinki è influenzata dal partito anti-euro che ha già chiesto l’uscita della Grecia. Ma un accordo troppo generoso con Atene metterebbe in imbarazzo soprattutto Angela Merkel che finirebbe per garantire a Tsipras quello che aveva negato ad Antonis Samaras, ex premier greco e leader di Nuova Democrazia, un partito che fa parte dello stesso gruppo parlamentare europeo di quello della cancelliera.
Merkel dovrebbe presentarsi al Bundestag e spiegare per quale ragione dopo sette anni di intransigenza ora si è piegata a un governo ostile alla linea europea propria e degli altri governi. Il vicepresidente della frazione Cdu-Csu Hans-Peter Friedrich ha già dichiarato di preferire l’uscita della Grecia. Alla cancelleria si stima con preoccupazione il numero dei parlamentari della coalizione che voterebbero contro un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. Merkel inoltre per la prima volta ha visto calare il proprio consenso sotto l’attacco dell’alleato socialdemocratico per la vicenda delle intercettazioni dei servizi segreti. Tuttavia, a chi le parla nella sede della cancelleria, Merkel assicura di essere pronta a difendere al Bundestag un accordo su Atene anche se carente. Sa che se Atene uscisse dall’euro, sarebbe un giudizio tombale sull’intera sua strategia nella gestione della crisi.
Anche in questo caso apparentemente la scelta meno dolorosa sarebbe di cedere ad Atene. Ma a un secondo sguardo si capisce che non è così. Appena approvato un accordo troppo debole, bisognerebbe rifare i conti sulle necessità finanziarie future di Atene tenendo conto di un’economia che è tornata in recessione e di un governo che potrebbe continuare a revocare le riforme in futuro. Si calcola che sarà necessario immettere nel terzo programma di assistenza decine di miliardi di in più. Si calcola tra 20 e 50 miliardi di euro che i creditori dovranno aggiungere entro il 2017. Il debito greco, già ora considerato insostenibile, aumenterà di cifre equivalenti.
In tal caso il Fondo monetario non accetterebbe di partecipare al terzo programma di aiuti senza un haircut, un taglio del debito del 10-20%. Taglio che però non graverebbe sui crediti del Fondo che ha uno status di creditore privilegiato, ma che invece peserebbe interamente sulle tasche dei contribuenti dei paesi dell’euro attraverso l’Esm, il meccanismo di stabilità europeo.
Ma nemmeno questa opzione è scontata. Nel caso di un haircut sui titoli del debito greco, per la Banca centrale europea sarebbe molto difficile giustificare il proseguimento delle operazioni di finanziamento delle banche greche a fronte di un collaterale (titoli pubblici dati in garanzia) non sicuro. Il governing council della Bce si è già diviso sulla necessità di penalizzare i titoli greci accettabili come collaterale nelle operazioni di erogazione di liquidità di emergenza. Solo venerdì il presidente della Bundesbank, influente nel board della Bce, è tornato a lanciare messaggi di aperta ostilità a un eccesso di tolleranza nei confronti di Atene. Non è un caso che Varoufakis abbia riaperto lo scontro con la Bce sostenendo che anch’essa dovrebbe trasferire i propri crediti verso la Grecia (in realtà bonds) all’Esm o accettare un allungamento delle scadenze e una riduzione dei tassi d’interesse. L’ufficio legale della Bce tuttavia ha escluso l’opzione di un reprofiling dei crediti greci, perché rappresenterebbe una violazione del divieto di finanziamento monetario di uno Stato stabilito dall’art.123 dei Trattati europei.
Ma qual è l’alternativa? In caso di mancato accordo all’Eurogruppo, il governo greco non sarebbe in grado di pagare la prossima tranche di debito verso il Fondo monetario. Se questo succedesse e se il direttore generale, Christine Lagarde, informasse il consiglio esecutivo del mancato pagamento, Atene violerebbe non solo gli accordi con Washington, ma anche il contratto sui prestiti già emessi dall’Esm che prevedono in tal caso (art.9 par.1) che il fondo di stabilità possa dichiarare il default greco. La decisione se farlo o meno, verrebbe presa dai funzionari del Tesoro membri esecutivi dell’Esm, i quali sarebbero chiamati a riportare la decisione ai Parlamenti nazionali proprio quando emergeranno le cifre sugli onerosi aiuti futuri ad Atene. È possibile che alcuni parlamenti preferiscano soluzioni traumatiche. A quel punto la Bce non potrebbe garantire liquidità di emergenza per più di due settimane, durante le quali Atene dovrebbe imporre controlli di capitale e forse emettere propri mezzi di pagamento, diversi dall’euro. La fine è facilmente immaginabile.