domenica 17 maggio 2015

Corriere 17.5.15
La fuga delle migranti. Ovadia rilegge Eschilo
A Siracusa il debutto della tragedia «Le supplici»
Donatella Finocchiaro: una recita tra greco e dialetto
di Felice Cavallaro


SIRACUSA Eschilo non poteva saperlo ma, dopo più di duemila anni, le sue Supplici sembrano le donne di oggi in fuga da oppressione, guerre e miseria, tratteggiate dalla regia di Moni Ovadia come schiere di migranti appena arrivate dal mare. Pronte a difendere se stesse con la grinta di Donatella Finocchiaro.
Straordinaria prima corifea di una tragedia trasformata in canto corale, «ai confini del musical», come osserva divertita la stessa attrice. «Costretta» a misurarsi con un’inedita metrica scandita in greco e dialetto siciliano sulle musiche di Mario Incudine, «complice» Pippo «Kaballà» Rinaldi.
Effetti speciali anche per l’ Ifigenia in Aulide di Euripide, regia di Federico Tiezzi. Sulla scena un altro attore siciliano di primo piano, Sebastiano Lo Monaco, un Agamennone travolto dai dubbi, un re che sacrifica, per ordine di un indovino di cui non si fida, l’unica persona amata, sua figlia, Ifigenia, interpretata da Lucia Lavia.
Sono cominciate così le prime due delle tre tragedie di un ciclo che andrà avanti fino al 28 giugno nella magia del Teatro Greco di Siracusa dove stasera è di scena la Medea di Seneca, regia di Paolo Magelli, protagonista Valentina Banci. Tutte opere che hanno in comune il rapporto con il mare. Una scelta non casuale per il neo-sovrintendente dell’Inda (Istituto del dramma antico), Gioacchino Lanza Tomasi, grande musicologo, figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa: «Si parlava allora e parliamo noi oggi di diritto di asilo, viaggi della speranza, seduzioni, sacrifici umani...».
Una scelta che imponeva di mobilitare una figura determinata come Donatella Finocchiaro, felice di questa rivisitazione delle Supplici : «Nonostante il titolo, io piango poco e faccio esplodere una aggressività che è quasi un ringhio per difendere le cinquanta donne del coro decise nel ribellarsi al loro destino, a non essere schiave nello stesso letto di uomini-padroni». Una rivolta attualissima per queste guerriere dell’emancipazione che Donatella Finocchiaro assimila «alla donna-simbolo di una Sicilia che cominciò ad affrancarsi con Franca Viola», ovvero «alle protagoniste di tante tragedie che rimbalzano con orrore sulle nostre coscienze, a cominciare dalle bambine date in spose ai vecchi...».
È l’invito a riflessioni che il cinquantunesimo ciclo del Teatro greco ripropone ogni sera. Come accade con l’Agamennone di Lo Monaco, fino a qualche tempo fa immerso in un’altra tragedia, quella della mafia, interpretata nei panni dell’allora magistrato Piero Grasso per raccontare sulle scene Falcone e Borsellino, prendendo spunto da un testo del presidente del Senato.
Anche quell’esperienza partorita sui gradoni del teatro di Siracusa, come rivela Sebastiano Lo Monaco, qui padrone di casa: «Eravamo seduti vicini come spettatori una sera e dissi che il suo Per non morire di mafia sarebbe stato perfetto per una riduzione teatrale. Vinsi le sue resistenze e arrivammo anche al festival di Spoleto...».
Memoria di tragedie che si incrociano rinnovando un impegno civile riproposto adesso guardando il Mediterraneo in subbuglio.