Corriere 17.5.15
Heidegger non conta più
E la filosofia in Germania è ricca (non solo di idee)
Replica alle osservazioni di Donatella Di Cesare: mai prima sono stati spesi tanti soldi per le scienze dello spirito
di Markus Gabriel
Non c’è nessuna filosofia tedesca, ma nemmeno una filosofia italiana. Per un realismo della ragione la globalizzazione è un bene. Perché riguarda l’universale, l’incontro tra uomini che altrimenti avrebbero un’immagine ideologicamente distorta gli uni degli altri. La filosofia oggi è globale e internazionale. Ci si scambia argomenti, articoli, libri, al di là dei vecchi confini. Ciò aiuta a evitare le ideologie e favorisce il progresso. È invece un quadro ideologico della filosofia in Germania quello che emerge nell’orazione funebre di Di Cesare («la Lettura», 10 maggio), un testo che contiene un’accozzaglia di stereotipi nazionali.
La signora ha letto troppo Heidegger, e lo vede anche ovunque all’opera in Germania. La verità invece è che nelle accademie tedesche a malapena ormai lo si prende sul serio, perché sono risapute le debolezze della sua inaccettabile critica alla ragione e alla modernità. I Quaderni neri mostrano come egli pensi per stereotipi, come se il pensiero potesse essere tedesco, russo o americano. Forse che la meccanica quantistica è tedesca, l’astronomia italiana, la teoria della relatività ebrea, l’ottica islamica o la logica greca? Certamente no. È completamente insensato parlare in questi casi di nazionalità o di faccende religiose. Non esiste una filosofia cristiana o ebrea, bensì filosofe e filosofi che sono ebrei o cristiani. «Tedesco» è aggettivo che qualifica una lingua e una nazionalità. Se si parla di una filosofia tedesca ciò può significare solo che si tratta di una filosofia scritta in tedesco, per esempio la filosofia di Byung-Chul Han. Dico questo per sottolineare l’evidente verità che non c’è bisogno di chiamarsi Georg o Friedrich e di essere biondi per essere tedeschi. Noi tedeschi non abbiamo una nostra essenza, e voi italiani nemmeno.
Rientra invece nell’essenza della filosofia essere globale e internazionale. Ciò si fonda sul fatto che la ragione è universale ed è capace di una comunicazione che scavalca tutti i confini. Credere che le questioni della filosofia — logica, epistemologia, filosofia politica, etica etc… — possano essere tedesche o italiane è un errore madornale. Un’opinione simile sarebbe pura ideologia, o anti-filosofia.
Ugualmente falsa è l’idea che ci sarebbe una filosofia continentale. Che cosa dovrebbe essere? A me viene sempre in mente un continental breakfast in America, che a Roma, Amburgo e Varsavia non si trova (eccetto che negli hotel turistici). Non esiste neanche una specifica filosofia analitica. Tutta la filosofia infatti è analitica, perché la filosofia è l’analisi dei contesti concettuali: ciò vale tanto per i testi di Rudolf Carnap, Sebastian Rödl, Gottlob Frege e Rahel Jaeggi (per citare alcuni pensatori tedeschi), come pure per quelli di Martha Nussbaum, Nelly Motroschilowa o Umberto Eco. La filosofia è una scienza internazionale con diverse tesi e correnti. Un pluralismo, una scienza appunto.
Di Cesare sostiene certe male informate assurdità riguardo a quanto accade nelle università tedesche. L’idea che se ne è fatta deriva dagli anni Ottanta e dalla sua «romantica» visione fiabesca del XIX secolo al quale si richiama. Evidentemente ha una conoscenza molto insufficiente della situazione contemporanea in Germania. È falso che la politica culturale tedesca negli ultimi vent’anni abbia promosso soprattutto le scienze della natura. Mai prima d’ora sono stati spesi tanti soldi per le scienze dello spirito. Il problema è piuttosto che molti scienziati dello spirito hanno troppo poco tempo per le pubblicazioni perché devono gestire tanto denaro e strutture. Perché invece dovevano provvedere a istituire più cattedre. Ma questo è un altro discorso.
In ogni caso non vi è affatto una distruzione della filosofia tedesca pilotata dai tecnocrati. Crederlo, da parte di Di Cesare, è un banale luogo comune heideggeriano. E in che senso Tubinga è «la patria di Hegel e Schelling»? A Tubinga avevano soltanto studiato, e tra l’altro non era loro nemmeno piaciuta. Oggi ci sono molti centri filosofici in Germania, con diversi punti di forza: Monaco, Bonn, Lipsia, Berlino, Francoforte, Heidelberg e così via. Altri istituti sono in crisi, come Friburgo. Ciò che a Di Cesare sfugge è che la Germania è un Paese del XXI secolo con una storia contemporanea. Semplicemente non ha nessuna voglia di occuparsene. È troppo nostalgica per farlo.
Può esserci però anche un motivo più oggettivo. Non vuole rendersi conto che nella filosofia contemporanea globale c’è stata una svolta realistica, la quale ha portato anche a nuove forme di ontologia, epistemologia e metafisica. A Di Cesare non piace che sia ritornata la realtà (in effetti non era mai scomparsa). Di che cosa ha paura? Forse di Heidegger, che ritiene tanto importante e che semplicemente sopravvaluta. La filosofia globale sta al di là delle antiche distinzioni tra il pensiero analitico e quello fenomenologico/ermeneutico. Questa è ideologia dell’altro ieri, esattamente come lo era il generale nazionalismo del XX secolo o il fascismo per Croce e Gentile.
In ogni caso Di Cesare non ha capito ciò che io ho difeso nei miei libri — per esempio in Perché non esiste il mondo —, non lo ha capito affatto. La mia posizione non «ruota attorno alla tesi che il mondo, inteso come un insieme di oggetti, non esiste». Io affermo piuttosto che il mondo non c’è, nemmeno nel senso esistenziale di Heidegger, o degli heideggeriani «ambito degli ambiti» o «ente nel suo insieme». È una tesi completamente diversa. Di Cesare vorrebbe che la mia filosofia fosse una combinazione di Heidegger e della filosofia analitica. Ma allora non dovrebbe mettersi a discutere con la filosofia contemporanea e dovrebbe riconoscere che anche nel pensiero tedesco del XXI secolo c’è una filosofia che lei semplicemente non capisce. Ma la realtà non è sempre come la si vorrebbe. È proprio quello che dice il realismo e, con questo, dice la verità.
(traduzione di Alessandra Iadicicco )