domenica 10 maggio 2015

Corriere 10.5.15
Anvur
L’Agenzia che giudica le università Ogni delibera costa 100 mila euro
Il dossier su produttività e conti: il 16% del bilancio usato per remunerare il Consiglio direttivo
di Gian Antonio Stella


ANVUR. È l’acronimo di Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. È stata istituita nel 2006 per valutare l’attività degli atenei italiani e con lo scopo di «razionalizzare il sistema di valutazione della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici». Il Consiglio direttivo dell’Anvur (compreso il presidente) è composto da sei persone.

Cosa hanno in comune Mario Balotelli e l’Agenzia di valutazione del sistema universitario? Il primo costa 100 mila euro a passaggio, la seconda 100 mila a delibera. Il paragone, di beffarda ferocia, è degli «Sherlock Holmes» di roars.it . Che irridono alla definizione dell’Anvur come «una startup di successo» a dispetto di alcuni scivoloni tragicomici. Come l’inserimento tra le riviste «scientifiche» del bollettino comunale di Vigonza o di «Suinicoltura».
Ad accendere la miccia delle nuove polemiche è stato, giovedì, un seminario alla Statale di Milano per «ripercorrere e discutere le fasi di costituzione e avvio dell’Agenzia, interrogandosi sui fattori che hanno permesso una start-up di successo…». Non l’avessero mai scritto! «Ma quale successo?!», sono saltati su nella redazione del blog che fa le pulci alle disfunzioni del sistema universitario.
E così Alberto Baccini e Giuseppe De Nicolao, docenti rispettivamente a Siena e a Pavia, animatori di roars.it , hanno messo online un’analisi spietata a partire dai conti. Se gli emolumenti degli organi istituzionali costano al Garante per la Concorrenza e il Mercato 1,686 milioni di euro su 185 milioni e dunque meno dell’1% del bilancio e quelli all’Agcom 1,765 su 160 e cioè poco più dell’1%, com’è possibile che all’Anvur, su 9.850.000 euro ne siano stati spesi nel 2014 «ben 1,6 milioni» per «la remunerazione del Consiglio direttivo (spese di missione non comprese) che pesa dunque oltre il 16% dell’intero bilancio»?
Per fare cosa, poi? «Le uscite per i servizi generali (6.427.560 euro) sono pari a poco meno del doppio di quelle riservate alle due missioni principali», accusa il blog, «ossia università (2.346.060 euro) e ricerca (1.076.580). In cosa si è concretizzata la missione servizi generali? In quelli che Anvur chiama “provvedimenti ufficiali”». Cioè 92 delibere, 3 pareri e altri 2 documenti. Il che significa, al di là della scelta discutibile di rendere pubbliche sul sito solo 3 delibere («delle altre 89, malgrado la nostra fama di Sherlock Holmes dell’università non siamo riusciti a trovare traccia») che «ogni documento (inclusi quelli non pubblicati e di cui si ignora il contenuto) è costato al contribuente italiano 101.546 euro». Quasi quanto è costato al Liverpool, secondo il Daily Mail , ogni passaggio di Mario Balotelli. Le delibere pubbliche e quelle ignote vanno messe nel conto solo dei «servizi generali»? Fosse anche così, ogni documento «è costato al contribuente in media “solo” 66.263 euro».
Quanto alla «missione ricerca» costata nel 2014 1,076 milioni di euro, «in cosa si concretizza?» Risposta: «se applichiamo i criteri Anvur» con generosità e «consideriamo come pubblicazioni tutte quelle del periodo 2011-2014», la ricerca su «Scopus», uno dei due principali database delle riviste scientifiche mondiali, è sconfortante. «Inserendo Anvur come “affiliation” il risultato è zero pubblicazioni». Se poi la ricerca viene estesa ai singoli componenti del direttivo dell’Agenzia per la valutazione, «con un calcolo di nuovo “generoso”, e includendo anche alcuni “precari” di ricerca di Anvur, siamo riusciti a contare 5 articoli pubblicati nel periodo 2011-2015. Con un totale di 3 citazioni. Di questi articoli solo uno può essere chiaramente ricondotto al lavoro svolto dai membri del Consiglio direttivo nelle loro funzioni».
La conclusione è micidiale: bonariamente, «Roars non applica la bibliometria in modo rigido. Per cui consideriamo una produzione totale di cinque articoli con 3 citazioni. Ogni articolo è costato al contribuente italiano 215.276 euro. Ogni citazione 358.794». Una tombola. Stratosferica. Di più ancora: a cosa si riferisce esattamente la spesa di «un milione e mezzo di euro, ossia più del 10% delle uscite totali, destinato a “esperti di elevata professionalità”»? Fosse una conventicola di geni, amen. Anzi, sarebbe una consolazione, se oltre ai centravanti, ai terzini e ai registi offensivi fossero strapagati anche dei professori straordinariamente bravi. Ma è così? No, risponde un secondo articolo su roars.it titolato «I dieci gradini della scalata al successo dello start-up di Anvur». Dove viene elencato appunto un decalogo di denunce.
Alcune molto tecniche e difficili da spiegare ai lettori, come quelle sulle «mediane» scelte per valutare gli aspiranti docenti universitari sulla base del numero di articoli pubblicati o del numero di citazioni ricevute. Un pasticcio, accusa De Nicolao. Giustificato dall’Anvur con «la presunta ambiguità del concetto di mediana» esaltata da una frase un po’ spiritata: «Questa definizione, pur univoca, lascia però un importante punto di ambiguità». Segue tutta una serie di rilievi, dai commissari stranieri a una sentenza del Tar Sicilia, che gli interessati più addentro alle cose possono andare a cercare sul sito.
La parte più divertente, però, è il rilancio delle accuse intorno al riconoscimento delle cosiddette «riviste scientifiche» accettate come palcoscenico dei lavori professionali degli aspiranti docenti. Un elenco «oggetto di ilarità nazionale e internazionale» finito in prima pagina sul Corriere , come i nostri lettori ricorderanno, ma anche «in un lungo articolo sul noto magazine Times Higher Education ». In quell’elenco, che inizialmente comprendeva addirittura 15.998 riviste «suddivise nelle aree non bibliometriche» c’era di tutto. Dal Mattino di Padova all’annuario del Liceo di Rovereto e poi giornali per catechisti, «periodici patinati come Yacht Capital e periodici per operatori agricoli e allevatori di maiali, come Suinicoltura ». Una rivista «punto di riferimento imprescindibile per allevatori di suini, tecnici e le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola».
Una lista così assurda (ve lo immaginate un aspirante docente che cerca di avere una cattedra ad Harvard, Berkeley o Stanford portando le sue pubblicazioni su Stalla oggi , per quanto possa essere un giornale specializzato utilissimo per gli allevatori?) che fu obbligatoria una sforbiciata. Sottolineata, purtroppo, con parole di auto-elogio un po’ surreali: «I gruppi di lavoro, avvalendosi delle società scientifiche interpellate dall’Anvur, hanno effettuato una difficile e meritoria opera di sfrondamento, pervenendo a un numero finale di 12.865 riviste considerate scientifiche in almeno un’area». Dodicimilaottocentosessantacinque? Tutte scientifiche? Basta capirsi: sul Corriere hanno scritto diversi premi Nobel. Ma mica è una rivista scientifica…
Una cosa è probabile. Dopo le nuove stilettate, l’uso delle parole «start-up di successo» sarà un po’ più sobrio. O no?