giovedì 9 aprile 2015

Repubblica 9.4.15
Economisti contro il mondo diseguale
Capitalismo, crisi finanziaria, nuove teorie economiche: il confronto tra George Soros, Thomas Piketty e il premio Nobel Joseph Stiglitz
di Federico Fubini


“Il problema sono le istituzioni e come favoriscono le rendite” “L’Italia ha la quota più alta di patrimoni privati in proporzione al reddito del Paese”

PASSATI gli anni del crash finanziario, passata anche la recessione che ne è seguita, l’Occidente resta ferito dalle conseguenze di ciò che è successo negli ultimi anni: un aumento delle diseguaglianze che mina la credibilità delle istituzioni e della politica. Al punto da diventare il punto centrale delle riflessioni di economisti come Thomas Piketty o Joseph Stiglitz. O persino di finanzieri come George Soros. Quando esplose la grande crisi dei mutui ipotecari nel 2007 e poi quella delle grandi banche di Wall Street nel 2008, Soros aveva già accumulato un patrimonio di oltre 20 miliardi di dollari e donato in varie imprese filantropiche almeno sette miliardi.
In quel biennio, a ottant’anni passati, tornò ad occuparsi personalmente del suo fondo speculativo. Ma anche mentre cercava di proteggere il Quantum Fund nello tsunami dei mercati finanziari, un’idea non abbandonava Soros: con il crash di Lehman Brothers e il salvataggio pubblico di quasi tutte le grandi banche americane e di un gran numero di banche in Germania, Gran Bretagna, Irlanda o Spagna, era venuto brutalmente a galla il fallimento di un modello. Non erano più difendibili le teorie economiche fondate sulla certezza che i mercati agissero in modo razionale, fossero in grado di auto-regolarsi e dare sempre un prezzo corretto agli attivi finanziari sulla base delle informazioni disponibili. Nasce così l’idea di fondare l’Institute for New Economic Thinking (Inet), un “pensatoio” newyorkese che Soros incoraggia e finanzia con centinaia di milioni di dollari. Il suo compito è riunire e sostenere i progetti di studi di sempre nuovi economisti e ricercatori. Uno dei primi a raccogliere il sostegno anche finanziario di Inet è quello animato fra gli altri da Thomas Piketty, per la raccolta di dati in decine di Paesi del mondo sulle diseguaglianze di reddito e di patrimoni nella società. Il libro di Piketty nato da quel piano di studi si intitola Il capitale nel X-XIesimo secolo , è uno studio delle disparità sociali e delle loro dinamiche, ed è diventato un best-seller globale nel 2014.
Ieri sera l’Inet ha aperto a Parigi la sua sesta conferenza annuale, dedicata proprio al tema delle crescenti disparità che fratturano le società occidentali. Su questo tema si sono confrontati, uno dopo l’altro, Soros stesso, Piketty, il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz e il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria.
George Soros : Come filantropo Inet è il progetto di maggior successo che io abbia mai sostenuto. Non si trattava solo di demolire il monopolio di vecchie dottrine economiche, che sono ancora molto influenti. Dobbiamo anche contribuire a far capire meglio come funziona il mondo. Abbiamo iniziato a proporre nuove visioni su come i mercati reagiscono agli eventi esterni e come si comportano, che non sarebbe stato possibile senza confutare e demolire le vecchie idee ancora in auge. Ora dobbiamo sperare di andare avanti nell’elaborare nuove proposte e conto che lo faremo finché a nostra volta non resteremo senza idee. Quando questo accadrà, vorrà dire che sarà stato il nostro turno e saremo noi l’ortodossia. Allora probabilmente ci sarà bisogno di qualcun altro che demolisca le nostre dottrine, per poi andare avanti.
Th omas Piketty : La mia ricerca è stata finanziata da Inet negli ultimi 5 o 6 anni, ma in realtà non è solo mia. È un lavoro di gruppo con decine di ricercatori che hanno raccolto dati storici e attuali sui redditi e i patrimoni. Quello che abbiamo voluto fare, è stato rimettere al centro dello studio dell’economia il tema delle diseguaglianze. È stato uno sforzo collettivo e vorrei presentarne alcuni dati riguardo alla ricchezza patrimoniale in Europa e negli Stati Uniti. Tra il 1900 e il 1910 la disuguaglianza dei patrimoni era più accentuata in Europa, ma cento anni più tardi è molto più marcata in Nord America. Qui le disparità di reddito fra gli abitanti hanno iniziato a crescere negli anni ‘70, mentre anche in Europa è successo, ma in Paesi come Francia, Germania, Spagna o Italia il fenomeno prende piede dall’inizio degli anni ‘80 e lo fa in modo meno intenso. Il Giappone si colloca invece a metà strada fra Europa e Stati Uniti. La diseguaglianza di reddito si sviluppa in modo diverso fra i vari Paesi avanzati e questo ci dice già qualcosa: non può essere dovuta solo alla globalizzazione o all’avvento delle tecnologie. Dev’essere dovuta anche alle istituzioni del mondo del lavoro e ai sistemi educativi. Le stesse premesse danno infatti risultati diversi negli Stati Uniti, in Europa o in Giappone.
Joseph Stiglitz: Visto le cose dette da Thomas, voglio concentrarmi proprio sugli Stati Uniti. Vengo dall’Indiana e mi hanno detto che sono cresciuto durante l’età dell’oro del capitalismo, ma a me non sembrava affatto l’età dell’oro. Mi sembrava un disastro. I Paesi che oggi hanno imitato le istituzioni degli Stati Uniti stanno avendo un aumento delle disuguaglianze come gli Stati Uniti. E in questo si dice che l’aumento delle differenze è come l’erba che cresce, non lo puoi notare a occhio nudo. Ma negli ultimi anni nel mio Paese è stato cataclismico. Non è questione di capitalismo, il problema sono le istituzioni politiche che gestiscono il capitalismo e come esse favoriscono le rendite di chi ha i patrimoni. Negli ultimi 25 anni il reddito mediano in America è sceso in termini reali benché la produttività sia raddoppiata.
Thomas Piketty : I problemi non sono solo negli Stati Uniti. Prendete il caso dell’Italia. Fra gli otto Paesi più ricchi del mondo è quello che ha la quota più alta di patrimoni privati in proporzione al reddito del Paese, intorno al 700%. Ma è anche quello che ha la quota più bassa di patrimonio pubblico, al punto che non potrebbe ripagare il suo debito se vendesse i suoi ospedali o le sue scuole. Non dico che dovrebbe farlo, per pagare poi un affitto a chi compra le scuole. Dico però che è tutto molto curioso: anche Germania e Francia avevano debiti fuori proporzione nel 1945, ma nel 1955 se ne erano liberati con il perdono dei creditori e con l’inflazione. Solo così sono potute tornare a investire nel futuro. Ora questi stessi Paesi esigono che l’Italia paghi tutti i suoi debiti per un tempo indefinito.