giovedì 9 aprile 2015

Repubblica 9.4.15
Addio al fisico Salvini costruì a Frascati il primo elettrosincrotrone
di Bruno Arpaja


GIORGIO Salvini, decano dei fisici italiani, padre dell’elettrosincrotrone di Frascati, la macchina che dagli anni Cinquanta avrebbe collocato l’Italia all’avanguardia della ricerca nelle alte energie, è morto ieri a Roma, a 95 anni. Scompare, secondo Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «un protagonista straordinario della rinascita della fisica italiana dopo la tragedia della diaspora e della guerra». Salvini aveva anche presieduto l’Infn dal 1966 al 1970 e i Lincei dal 1990 al 1994. A metà degli anni Novanta era stato ministro dell’università e della ricerca scientifica.
Era nato a Milano nel 1920 e si era laureato nel 1942, poco prima di essere mandato al fronte. Sbandato dopo l’8 settembre e nascosto dal suo relatore, Giorgio Polvani, nel laboratorio dell’università, aveva lavorato sulle interazioni mesoniche nei nuclei. Nel 1949 venne invitato a Princeton. Quando, qualche anno dopo, tornò dagli Stati Uniti, ottenne la cattedra di Fisica Generale a Roma, intrecciando rapporti con Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini. Insieme a loro, e con il pungolo di Enrico Fermi, partirà per la sua più grande avventura, la costruzione del primo, potentissimo, acceleratore di particelle.
In un’Italia che non aveva ancora rinunciato alle imprese di eccellenza e che sapeva lanciare il cuore oltre l’ostacolo, Salvini, appena trentatreenne, era stato scelto per dirigere l’impresa. Carlo Bernardini racconta che il prodigio avvenne «per una convinzione di Salvini che Amaldi e Bernardini assecondarono: assumere giovani, neolaureati in fisica o in ingegneria a cui offrire un futuro che poteva essere gratificante se “ce l’avessero messa tutta” ». Se Salvini ha solo trent’anni, il suo staff ne ha in media dieci di meno. Eppure, dove c’era «un campo di barbatelle, senza acqua e senza strade», nascono i Laboratori Nazionali di Frascati. «È una pagina commovente della nostra storia patria», raccontava lo stesso Salvini, «un gioco onesto, intenso, ostinato ». Un gioco che aggancia l’Italia al treno delle grandi potenze scientifiche.
Di quel gioco, Salvini continua a far parte anche quando lascia la direzione di Frascati, lavorando al sincrotrone e poi all’anello di accumulazione Adone e al Cern di Ginevra. Nel 1983 è parte del team internazionale che al Cern rileva i bosoni intermedi W e Z, la scoperta per cui Carlo Rubbia riceverà il Nobel. «Arrivato alla mia sera», aveva detto di recente, «trovo di essere stato un uomo fortunato, per quanto ho visto e ho contribuito, su limitatissima scala, ad attuare». Ma per il nostro paese sarà difficile fare a meno della sua curiosità scientifica, del suo coraggio, della sua enorme capacità organizzativa.