Repubblica 5.4.15
Il retroscena
Renzi “apre” alla sinistra e punta su De Vincenti “Ma la legge elettorale è ok”
di Goffredo De Marchis
ROMA La rosa di quattro nomi si è ridotta a due e un candidato è decisamente avanti rispetto all’altro. Matteo Renzi si è preso la Pasqua per dire l’ultima parola sul nuovo sottosegretario a Palazzo Chigi, ruolo centrale del governo. La nomina avverrà tra martedì e mercoledì. Ma il sostituto di Graziano Delrio ha il profilo di Claudio De Vincenti, oggi viceministro dello Sviluppo Economico. In corsa è rimasto lui insieme con la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli. Più indietro, Giorgio Tonini e Ettore Rosato che il premier ha deciso di non muovere dai loro attuali incarichi per non aprire altri vuoti nell’assetto del Partito democratico.
Ma non è solo questo il motivo per cui la scelta alla fine, salvo sorprese che con Renzi sono sempre possibili, sarà circoscritta a De Vincenti e Fedeli. Il capo del governo ha deciso di mandare un segnale a chi lo critica per la difficoltà a fidarsi di personalità fuori dal giglio magico, ossia fuori dalla ristretta cerchia dei fedelissimi. E vuole completare l’opera individuando una persona storicamente di sinistra, storia che non appartiene né a Rosato né a Tonini. La Fedeli è stata ai vertici della Cgil, leader sindacale dei tessili per una vita. De Vincenti ha un curriculum da perfetto economista di sinistra. Studioso di Marx e di Piero Sraffa (il professore amico di Gramsci e collaboratore di Keynes), consigliere di Vincenzo Visco alle Finanze, membro della Fondazione Nens di Bersani e Visco, articolista per Italianieuropei diretta da Massimo D’Alema. De Vincenti fa parte del governo da 4 anni, con Mario Monti e Enrico Letta come sottosegretario allo Sviluppo, fino alla promozione a viceministro nell’esecutivo Renzi. A lui si deve la soluzione di alcune delicate crisi aziendali, in primis le Acciaierie di Terni.
È dunque un nome che non può trovare ostacoli dentro il Partito democratico proprio nel momento in cui è più diviso. Rispetto alla Fedeli ha una maggiore esperienza nell’amministrazione di governo e questo fa pendere la bilancia verso di lui. Per Rosato e Tonini invece ha prevalso il ragionamento che ha già bloccato la corsa del vicesegretario Lorenzo Guerini verso ruoli ministeriali: non aprire buchi difficili da colmare. Il primo viene considerato una specie di “capogruppo” della maggioranza Pd alla Camera ed il suo contributo a Montecitorio è considerato fondamentale. Il secondo ha la funzione di equilibratore nel gruppo del Senato dove i dissidenti hanno un peso notevole. Sempre martedì Renzi indicherà il candidato per la poltrona-chiave di segretario generale di Palazzo Chigi. Sarà Paolo Aquilanti il prescelto. L’attuale capo dipartimento delle Riforme si è guadagnato i galloni sul campo, escogitando l’emendamento Esposito, che annullò le modifiche della minoranza contro l’Italicum nel passaggio a Palazzo Madama. Gli esperti videro subito la mano di Aquilanti in quel documento, sapendo che il funzionario aveva già usato un “trucco” simile nel 2000 preparando con Massimo Villone l’emendamento a una legge elettorale che non vide mai la luce.
Quindici anni dopo, la norma elettorale è ancora al centro della mischia, stavolta con la possibilità di andare in porto entro poche settimane. «Abbiamo discusso per mesi, fatto le modifiche che dovevamo fare. Non riapro il tavolo per analizzare se sono meglio 100 capilista bloccati o 90 o 80», spiega il premier ai suoi collaboratori. Significa che non ci sono margini per una modifica del testo, che a maggio l’Italicum deve diventare legge senza altri passaggi in Parlamento. «Indietro non si torna. Altrimenti ci fermiamo e finiamo nella palude», avverte Renzi. È quindi in salita l’opera di mediazione che cerca il capogruppo Roberto Speranza, esponente dell’ala bersaniana. Si può tentare di avere delle aperture sulla successiva riforma costituzionale ma niente di più. Speranza sa che non ci sono margini sui contenuti. Per questo prepara con altri esponenti di Area riformista un appello a non rassegnarsi a un voto che ormai coinvolge un terreno ristretto, la maggioranza di governo e nessun altro. E che rischia di decretare una rottura insanabile nel Pd.