Repubblica 5.4.15
Italicum, i dissidenti Pd pronti a lasciare la commissione
L’ipotesi di Bersani e altri per rinviare la battaglia in aula. Ecco chi sono e come si dividono i 110 deputati anti-riforma
di Giovanna Casadio
ROMA Non saranno tutti “caballeros” al momento del voto, ma sulla carta sono 110 i deputati dem ai quali l’Italicum non piace proprio e che temono danni dall’accoppiata con la riforma costituzionale che abolisce il Senato. Qualche giorno di tregua pasquale, ma subito dopo daranno fuoco alle polveri, soprattutto se continuerà a circolare l’ipotesi che il governo voglia metta la fiducia sulla legge elettorale.
Per dirla con Gianni Cuperlo, il leader di Sinistradem, uno dei capi della rivolta contro le riforme istituzionali renziane, che cita Rilke, «il futuro è in noi prima che accada». Se ne vedono tracce, in effetti. Quando si entrerà nel vivo della discussione in commissione, a metà di aprile, le sinistre dem dovranno avere già deciso come condurre la battaglia. Ogni leader ha la sua proposta. Pierluigi Bersani l’ha fatta trapelare nei giorni scorsi: «Potrei farmi sostituire in commissione Affari costituzionali». Un modo per rinviare lo scontro in aula. E i bersaniani fanno filtrare che non parla a titolo personale e che, a seguirlo, potrebbe essere più d’uno dei dissidenti in commissione, ad esempio Alfredo D’Attorre, Roberta Agostini, forse lo stesso Cuperlo e Barbara Pollastrini. Cuperlo per la verità, frena. Ragiona: «La guerriglia in commissione sarebbe comunque inutile, la partita si gioca in aula. È prematuro tuttavia ipotizzare lo scenario futuro, vedremo la disponibilità a modifiche di Renzi ». Pressoché inesistente, come il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini si affanna a ripetere, ricordando che nell’ultima Direzione il premier ha “blindato” l’Italicum e ha avuto dalla sua la maggioranza.
In Parlamento le cose stanno diversamente. Un terzo del gruppo dem contesta la legge elettorale, seppure con varie sfumature di dissenso. Si sa che il “pallino” è in mano alla corrente “Area riformista”, la più numerosa della sinistra dem, con un’ottantina di deputati, e che ha in Roberto Speranza il suo leader. Speranza, che è capogruppo a Montecitorio, è stato il delfino di Bersani. Fu lui a volerlo coordinatore del comitato per le primarie del 2012, chiamandolo da Potenza dove era stato assessore e poi segretario regionale del Pd. Prima di tornare a casa per le feste, Speranza pensava a un documento sulle riforme. Un tentativo di mediazione per tenere insieme la “blindatura” di Renzi sull’Italicum e lo spiraglio di cambiamento sulla riforma del Senato. Potrebbe bastare alla sinistra dem incassare qualcosa sul fronte Senato delle autonomie per digerire l’Italicum? A Rosy Bindi e ai bindiani come Margherita Miotto e Franco Monaco, certamente no. Neppure a Stefano Fassina. Scettico e prudente sulle cifre del dissenso, visto che neppure sul Jobs Act - ricostruisce - la sinistra è stata in grado di fermare Renzi, Fassina prevede una riunione di tutte le minoranze al più presto, sicuramente prima di quella del gruppo parlamentare che è slittata al 15 aprile. Per lui - che nel gennaio del 2014 si dimise da vice ministro all’Economia dopo quel “Fassina, chi?” con cui il leader del Pd tentò di ignorarlo - «essere conseguenti » è tutto. «La sorte del dissenso è incerta» anche per Pippo Civati. «Abbiamo minacciato tante volte l’iradiddio e poi siamo rimasti in pochissimi a portare avanti il dissenso fino al momento del voto». Però Ci- vati, l’eretico, l’outsider, è dato in uscita verso la sinistra di Landini- Vendola-Cofferati. Sull’Italicum “Area riformista” è disponibile a incassare una sola modifica. Spiega Nico Stumpo: «Il premier-segretario dovrebbe scendere a trattativa e concordare un unico cambiamento in accordo anche con Palazzo Madama, per una quota del 30 o 40% di candidati bloccati e il resto con le preferenze». Stumpo, 46 anni, è stato responsabile dell’organizzazione della segreteria di Bersani, ma non condivide gli strappi dell’ex segretario. C’è anche una rottura generazionale nella sinistra dem. Perchè i dissidenti su un punto sono d’accordo: «Sarebbe aberrante se Matteo mettesse la fiducia sull’Italicum». Alfredo D’Attorre, bersaniano duro e puro, ritiene che vada subito sgombrato il campo dall’ipotesi fiducia. E a Palazzo Madama, Federico Fornaro, bersaniano, raccoglie adesioni tra chi la riforma del Senato, in arrivo dopo maggio, non la voterebbe più se l’Italicum avesse un ok blindato.