Repubblica 4.4.15
La tentazione pericolosa della fiducia sull’Italicum
Sarebbe rischioso approvare la riforma con una ristretta base parlamentare
L’ipotesi tradisce la fretta del premier sulla legge elettorale
Palazzo Chigi non farà concessioni sia alla minoranza pd sia a Alfano
di Stefano Folli
LE elezioni regionali di fine maggio si preparano a essere, come da tradizione, un “test” di rilievo per misurare la stabilità politica e i rapporti di forza. È vero che le regioni coinvolte sono solo sette (Veneto, Liguria, Toscana, Campania, Marche, Umbria, Puglia), ma a loro si aggiunge un discreto numero di comuni, fra cui diciotto città capoluogo di provincia (tra le principali, Venezia, Trento, Bolzano, Mantova, Arezzo, Chieti, Macerata). È una scadenza che magari non produrrà un terremoto, ma nemmeno sarà insignificante. Non è un caso se Renzi vuole arrivarci avendo chiuso in Parlamento il capitolo della riforma elettorale. Avrebbe in mano la carta decisiva per gestire qualsiasi evenienza, compresi gli incidenti di percorso che nessuno può escludere. Del resto, senza il cosiddetto Italicum il progetto politico-elettorale del premier non è in grado di decollare. Con l’Italicum invece tutto è possibile, anche che la legislatura vada avanti fino al 2018, come afferma la “vulgata” ufficiale; ovvero che si crei un imprevedibile cortocircuito tale da suggerire l’anticipo delle elezioni generali (una volta completata, negli auspici, anche la trasformazione del Senato).
In ogni caso è fondamentale per la logica renziana che la riforma sia approvata prima del 31 maggio e che il testo non contenga altre modifiche, da cui deriverebbe la necessità di un ulteriore passaggio parlamentare. Ottenuto tale risultato, il presidente del Consiglio assisterebbe con maggiore tranquillità ai sussulti politici prossimi venturi. Per esempio al travaglio del partito centrista di Alfano, da tempo sull’orlo di una crisi che l’esito del voto di maggio potrebbe accentuare. Già oggi la lacerazione interna è evidente: c’è chi difende l’autonomia di una forza che i sondaggi danno intorno al 3-3,5 per cento; chi invece, senza dirlo, si prepara a entrare nel futuro “listone” renziano imposto dall’Italicum; e infine chi progetta un ritorno a destra, dove oggi c’è il vuoto ma domani, chissà, si dovrà pur ricostruire un perimetro politico.
Certo, tre anime per un piccolo partito sono troppe. E tuttavia le regionali sono il terreno adatto a fare chiarezza: soprattutto in Campania, dove l’Ncd subisce la tentazione di sostenere il candidato berlusconiano, il presidente uscente Caldoro. Si capisce allora che Renzi segua con curiosità le angosce dell’alleato, ma preferisca farlo avendo la riforma elettorale in tasca. Tutto si può dire tranne che la posizione di Palazzo Chigi sia ambigua. È una linea che prevede zero concessioni sia alla minoranza Pd (appunto sulla legge elettorale) sia al partito centrista (sugli equilibri nel governo dopo il caso Lupi). Ad Alfano si lasciano giusto alcuni giorni di riflessione, fra il giuramento di Delrio alle Infrastrutture e il momento in cui l’Ncd dovrà accettare la proposta del premier. È come se Renzi non ritenesse questi due gruppi in grado di destabilizzare il governo con le loro richieste o pretese. Ovvero, al contrario, che mettesse nel conto un’eventuale instabilità: la quale potrebbe persino tornare utile al suo progetto, a patto che l’Italicum sia al sicuro e con esso lo sbocco delle elezioni anticipate.
Come è evidente, a questo punto solo una buccia di banana in Parlamento potrebbe complicare lo scenario. Ma la minoranza bersaniana è giunta tardi e male all’appuntamento cruciale con la riforma del sistema elettorale. Ciò nonostante Renzi deve guardarsi dalla cupidigia di voler stravincere. C’è un argomento, infatti, che gli anti-Renzi del Pd agitano come una bandiera e su cui non hanno torto: la sola ipotesi, talvolta accarezzata dal premier, di chiedere il voto di fiducia sull’Italicum sarebbe aberrante. La riforma passerà con una base parlamentare ristretta, se fosse imposta attraverso la fiducia - come un qualsiasi decreto legge - sarebbe inquietante. Ma non accadrà, naturalmente. Al pari di Teddy Roosevelt, Renzi agita un nodoso bastone, ma non sempre intende calarlo sulla testa dei suoi avversari. Se non è proprio necessario.