venerdì 3 aprile 2015

Repubblica 3.4.15
Iran, la ragione zoppa
La diplomazia ha ottenuto quel che un tempo imponevano le armi
Ha gettato le basi per un’intesa preliminare che altrimenti sarebbe stata raggiunta con la forza
di Bernardo Valli


È STATO deciso un esame d’ammissione, in altri termini è stato raggiunto un accordo politico. Una prova. Ne sono state per ora annunciate sommariamente le regole. L’Iran degli ayatollah, dopo trentacinque anni di guerra fredda con la superpotenza, e in varia misura con l’Europa, dovrà rispettarle per un decennio. Ben inteso sotto lo stretto controllo degli esperti dell’Agenzia atomica dell’Onu, per ritornare a pieno titolo nella società internazionale. La condizione principale, essenziale, è la rinuncia tecnica all’arma nucleare.
ERA e resta ovvio, ma la volontà politica e ideologica sarà determinante. La diplomazia ha ottenuto quel che un tempo imponevano le armi. Ha gettato le basi di un’intesa preliminare che altrimenti, un giorno, sarebbe stata forse ottenuta con la forza. I favorevoli a questa soluzione non mancano mai. Ieri sera ha in fondo prevalso la ragione. Forse una ragione zoppa; ma pur sempre la parola rispetto al fucile. È stato conseguito un successo di grande portata non solo per il Medio Oriente in preda al caos e alla violenza, ma per il resto del mondo, poiché riguarda una questione chiave della nostra epoca: ha infatti avuto la meglio il principio della non proliferazione nucleare. Tanti Paesi in quella regione erano pronti a seguire l’esempio di Teheran. L’Arabia Saudita trattava già col Pakistan, comprensivo e fedele amico musulmano. A Losanna fu preparato il dopo Prima guerra mondiale. Nello stesso luogo, come se fosse predestinato alle pagine di storia, negli ultimi giorni è avvenuto il più rilevante avvenimento diplomatico dell’ultimo quarto di secolo. Purché duri.
Non tutto è stato detto dopo 37 ore di negoziati, 12 anni di tentativi falliti, e 35 di sanzioni, rese più severe nell’ultimo decennio. Dopo tanti sospetti, inganni, bugie, minacce non era possibile svelare tutti gli aspetti tecnici da risolvere e da precisare sulla carta entro il 30 giugno. Conta che le due parti a confronto, gli Stati Uniti da un lato (accompagnati da Francia, Gran Bretagna e Germania) e l’Iran dall’altro (spalleggiato da Russia e Cina) siano riusciti a stabilire un’intesa di principio sulle loro esigenze. Un ponte disegnato ma non ancora costruito.
La questione principale per gli occidentali riguardava la limitazione della capacità iraniana di arricchire l’uranio, combustibile nucleare necessario alla costruzione di un’arma atomica. Quindi la drastica riduzione del numero delle centrifughe, della loro potenza, ed altresì quella dell’uranio già arricchito. L’obiettivo era di allungare almeno fino a un anno il break out, il tempo necessario per acquisire abbastanza uranio ed elaborare la bomba. La quale richiede poi un’ulteriore lavorazione. Gli occidentali avrebbero ottenuto di ridurre a 6mila le 19mila centrifughe iraniane capaci di arricchire l’uranio. E di trasferire in parte il carburante nucleare iraniano in Russia, o di poterlo diluire. In che misura queste misure, alle quali si opponevano tenacemente gli iraniani, saranno attuate lo si vedrà nei prossimi mesi.
Gli iraniani chiedevano in cambio la sospensione totale e immediata delle sanzioni che hanno penalizzato severamente la società iraniana. Hassan Rohani è stato eletto presidente nel 2013 anche sulla promessa di porre fine al più presto a quelle sanzioni e di risolvere di conseguenza il problema nucleare. Dalla prime indicazioni risulta che le sanzioni saranno ridotte via via, tappa per tappa, seguendo i progressi fatti dagli iraniani nel rispettare i termini dell’accordo. Oppure ripristinate in caso di mancanza.
I dettagli tecnici sono stati tenuti segreti. Possono infatti avere effetti esplosivi. Dall’una e dall’altra parte esistono forti opposizioni all’intesa politica raggiunta a Losanna. Negli Stati Uniti i repubblicani, maggioritari nei due rami, erano e forse lo sono ancora decisi a sabotare l’accordo e ad appesantire le sanzioni. Loro tenace alleato non è soltanto la destra israeliana, con in testa il primo ministro Benjamin Netanyahu appena rieletto, che vede l’Iran come la principale minaccia per lo Stato ebraico.
I grandi Paesi arabi sunniti, in particolare l’Arabia Saudita, custode dei luoghi santi dell’Islam, osserva con preoccupazione il ruolo sempre più importante dell’Iran sciita. Per questo attacca gli sciiti nello Yemen e prepara una coalizione sunnita con l’Egitto. L’angoscia la possibilità che l’accordo di Losanna renda più stabile la complicità ufficiosa tra gli Stati Uniti, ormai autosufficienti per l’energia, e quindi sempre meno dipendenti dal petrolio arabo, compreso quello saudita, e gli sciiti iraniani e iracheni impegnati contro lo “stato islamico”. Uno dei responsabili militari del nucleare iraniano, il generale Qassim Suleimani, comandante delle forze d’élite delle Guardie della Rivoluzione (iscritto sulle liste dell’Onu per attività terroristiche), è presente sul fronte iracheno di Tikrit, dove le milizie sciite cercano di cacciare dalla città i jihadisti sunniti del califfato. E le milizie del generale Suleimani hanno l’appoggio dell’aviazione americana. L’accordo di Losanna, nel clima passionale e caotico mediorientale, può essere interpretato come una svolta strategica della superpotenza.
Nella stessa Teheran non sono pochi a dubitare dell’opportunità di venire a patti con gli Stati Uniti. Allentate le sanzioni saranno disponibili i miliardi di dollari bloccati nelle banche straniere e provenienti dal petrolio non più limitato nelle vendite. Settantotto milioni di iraniani potranno infine usufruire di quella ricchezza, dopo decenni difficili. Ma per molti è in gioco l’orgoglio del regime e l’ostilità per il “grande Satana”. Gli interlocutori di John Kerry, il segretario di Stato di Barack Obama, erano due iraniani di educazione americana: il gioviale ministro degli Esteri, Muhammad Javad Zarif, e il capo dell’agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi. Non deve essere stato sgradevole trattare con loro, ma alle loro spalle c’erano e restano i depositari dell’ideologia del regime, che hanno reso ardue, difficili le trattative di Losanna, come quelle degli anni scorsi. E che restano i guardiani nella stagione tecnica, durante la quale si dovranno stendere sulla carte entro giugno i dettagli dell’accordo quadro, essenzialmente politico, appena raggiunto.