giovedì 30 aprile 2015

Repubblica 30.4.15
“Crumiri”, accuse e lacrime dal fronte del no
Fabbri, deputata pd, non vota la fiducia e si dispera. Quelli di Sel sfilano con le fasce nere al braccio e c’è chi sventola un libro del costituente dc Dossetti. Ma lo strappo si consuma a sangue freddo, senza clamori
di Alessandra Longo

ROMA E al secondo giorno fu subito fiducia. Il tabellone di Montecitorio fissa i numeri della prima vittoria di Renzi : 352 sì e 207 no. Non c’è più il sangue che bolle, la rabbia di martedì scorso. Anzi, c’è un’aria stanca, anemica, quasi distratta. Ieri niente più insulti e piazzate, niente presunte passioni da difendere facendo vibrare l’aula. Quelli di Sel sfilano composti davanti alla presidenza con la fascia nera del lutto sul braccio, i CinqueStelle guardano disgustati laggiù, tra i banchi del centrosinistra, «le pecore» del dissenso sull’Italicum, incapaci di sottrarsi all’egemonia renziana, un’unica deputata del Pd, Marilena Fabbri, bolognese, cede alle lacrime. Non ha votato la fiducia e si dispera. Ma è l’eccezione. Il partito registra la spaccatura a sangue freddo. Maria Elena Boschi, in azzurro, cinguetta sollevata circondata da adoratori, Pier Luigi Bersani lascia il posto vuoto, il tramonto della Ditta gli spezza il cuore.
In 38 si sottraggono al rito della fiducia. Ettore Rosato pensava fossero meno. Gotor, dal Senato, twitta e ironizza: «Aggiorna il pallottoliere». C’è poco da ridere, da dire e da fare: la collisione è stata cercata, la spaccatura è netta, cinquanta dissenzienti si piegano alla legge del più forte, ma in molti, dopo, cammineranno fra le macerie dei rapporti umani. Il giovane ex capogruppo Speranza siede vicino al maturo vice Guerini. In comune hanno solo la cravatta azzurra a pois. Il compagno Giulio Marcon vivacizza il mortorio esibendo «Costituzione e Resistenza» di Dossetti. Richiamato. Si discute di emendamenti che non hanno più senso (visto l’approdo delle fiducie), si evocano appelli al buon senso e all’unità (Orfini) superati dagli eventi. La chiama è l’immagine plastica di un rito stanco. Sul tabellone appare: «Pier Luigi Bersani non ha risposto». E poi: «Rosi Bindi non ha risposto». Non «rispondono» nemmeno Enrico Letta, Stefano Fassina, Gianni Cuperlo. Ex segretari, ex presidenti del consiglio e del partito, ex capigruppo. Meno male che la destra, a guardarla, è l’immagine dello sfascio. Renato Brunetta vaneggia, lui, ex collega di Ciarrapico, di derive fasciste, di un Pd «ormai morto»; le vestali di Berlusconi, dalla Santanché alla Biancofiore, sono meste come vedove, persino spente nella scelta dei colori. Clima di scherno, irrisione dei perdenti, quella sì un po’ fascista. Bersani viene associato a Comunardo Niccolai, calciatore che «sbagliava spesso porta».
Tiene botta stoicamente Gianni Cuperlo: «Non è una giornata brillante, né semplice né serena». Puro understatement. Per chi non è renziano è una giornata, lo confessano fuori microfono, che fa schifo. Il dissenso, così disordinato, non arriva all’elettore, la cupola renziana asfalta chiunque. Viene in mente l’ultimo libro di Lidia Ravera, «Gli scaduti». Arriva il momento che «scadi» e ti accompagnano alla porta. Puoi essere stato un fine politico, un fedele funzionario, ma se il Capo decreta che è la tua ora nessuno ti salverà.
L’Italicum sembra per un giorno cornice e non cuore dello scontro. Il malessere Pd contagia anche i «casiniani» (per gli amanti dell’atomo, De Mita e Cera non votano). I CinqueStelle si annoiano ai banchi. Carla Ruocco posta un fotomontaggio: ecco il volto di Mattarella con un grande cerotto nero sulle labbra. Non ha niente da dire, signor presidente? Si entra ed esce dall’aula come se in agenda ci fosse un disegno di legge sulle comunità montane. Pino Pisicchio, da veterano, si permette la giusta confidenza con Guerini: «Ho votato la fiducia al governo ma non all’Italicum che è una grande cacata di legge elettorale ». Niente zone d’ombra.
Giornata né serena né semplice, dice Cuperlo. Barbara Pollastrini, una dei 38, parla di «peso al cuore». Sesa Amici, cuperliana al governo, evoca la «sofferenza » di una scelta per lei inevitabile. Un sottosegretario non può negare la fiducia al suo governo. La Bbc fa fatica a capire e poi trova la sintesi: è una pièce teatrale, dicono, parlando di Montecitorio. Verso sera Arcangelo Sannicandro, di Sel, recita le generalità dei dieci deputati che hanno preso il posto dei colleghi dissidenti nella Commissione Affari Costituzionali, «dieci crumiri, di cui leggo il nome perché ne resti imperitura memoria ». Oggi si finisce il lavoro.