Repubblica 30.5.15
Arturo Parisi
Il professore che fondò con Prodi la coalizione di centrosinistra boccia l’idea di progetti alternativi
“Chi ha delle idee le spenda dentro il partito”
“Il Pd di oggi è l’Ulivo nostalgici senza chance fuori avrebbero il 3%”
intervista di Giovanna Casadio
ROMA «Piaccia o no, questo Pd è l’Ulivo. Abbiamo costruito un palazzo che è appunto un partito del 41%, non ci si rifugi in un canile del 3%». Arturo Parisi, il fondatore con Prodi dell’Ulivo, invita i ribelli dem a dare battaglia dentro il Pd.
Professor Parisi, dopo lo strappo sulla fiducia, la scissione nel Pd diventa inevitabile?
«Non credo. Certo vedo crescere forte l’insofferenza e approfondirsi il risentimento. Ma non vedo la determinazione e soprattutto la visione e il disegno. Non basta a una scissione ritrovarsi su un no. Né il no a una persona, e neppure ad una scelta di metodo. E men che mai un no che come scelta comune riesce con fatica a tradursi in una non fiducia».
Quindi non è possibile un’altra stagione dell' Ulivo?
«Che piaccia o non piaccia, e a me molte cose non piacciono, la nuova stagione dell’Ulivo da otto anni si chiama Pd. Fu Prodi che del Pd è stato il primo presidente a insistere col primo segretario, Walter Veltroni perché questo fosse scritto nel simbolo per ricordare quale fosse il solco e la radice dai quali nasceva il partito».
Ma è un progetto che potrebbe ripartire con Letta, Bindi e lo stesso Prodi?
«Per dirla con Totò, le direi quisquilie. Se il nuovo Ulivo è il progetto che leggo da più parti comune oltre a Prodi, a Letta e alla Bindi, a Cuperlo e a Bersani e che potrebbe addirittura reclutare anche D’Alema vorrei prima saperne qualcosa di più, e soprattutto saperlo da ognuno di essi. Non ho alcun titolo a parlare di Prodi o per Prodi. Ma chi sta alle sue dichiarazioni pubbliche non troverà tuttavia in esse un solo appiglio».
Lei ci starebbe nel caso in un progetto così?
«Se nei dieci anni di battaglie uliviste, prima della resa all’Unione, una volta insorgemmo all’insegna di un Asinello scalciante, e più volte minacciammo di rompere, fu sempre e solo per costringere altri a riprendere il cammino dell’unità e impedire i ritorni indietro. Ed ora che la casa, che come Democratici chiamammo dall’inizio Pd, è finalmente costruita dovremmo riparare in un canile del 3%? No. È dentro il partito che chi ha idee da spendere le deve spendere. Chi non sopporta Renzi alzi la mano. E conquisti il palazzo, non il canile».
Proprio quando si torna a parlare di Ulivo, si chiama fuori?
«Guardi di ulivisti e di Ulivo ogni giorno ne scopro uno nuovo. E ognuno ha il diritto di raccontare il suo. Anche se mi sembra paradossale ritrovare sotto le stesse fronde tutti i ministri che nel governo D’Alema-Cossiga condivisero la scelta della interruzione della stagione ulivista. Qualche volta mi chiedo se nel nostro uliveto la Xylella fastidiosa stia producendo danni peggiori di quelli che ha prodotto a Gallipoli e nel Salento».
Cosa è oggi il PdR, il Pd di Renzi e verso dove va?
«Dipende da tutti. Certo da Renzi. Ma se il Pd appare come il PdR dipende anche da chi gli si oppone. Di fronte al diktat di Cossiga, che in cambio dei suoi voti chiese nel ‘98 all’Ulivo di sciogliersi, dissi che era meglio rischiare di perdere che perdersi. E perdemmo. Ma non ci perdemmo. Ora mi chiedo se questa volta il rischio non sia invece proprio quello di perderci».
L’Italicum è una buona legge elettorale?
«È un passaggio necessario. Guai se il processo riformatore si impantanasse. Dobbiamo andare avanti e pure in fretta, applicandoci alla riforma costituzionale. Quanto al merito, molte sono le cose che avrei da dire, sulla modalità di selezione dei parlamentari, sulla quantità di nominati e sulla qualità degli eletti con le preferenze. Limiti gravi, gravissimi, che spero ancora correggibili con un provvedimento distinto, che potrebbe integrare l’Italicum. Ma pur sempre obiezioni dentro il campo del Sì. Resta che una scelta la legge la fa, a favore di una democrazia governante, maggioritaria, bipolare a dominanza bipartitica, centrata sul premier. La stessa che mi ha guidato dalla stagione del movimento referendario a quella dell’Ulivo. Una scelta opposta a quella, pur sempre legittima, che guida gran parte delle minoranze Pd. Quelle dalle quali paradossalmente dovrebbe nascere il nuovo Ulivo ».
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Non vedo un disegno per la scissione, ritrovarsi su un non voto non basta
Ha i suoi limiti ma è necessario Guai se le riforme si fermano