Repubblica 30.4.15
Roberto Speranza
L’ex capogruppo: “Niente scissione ma riflettiamo su un partito che attira critiche dalla Camusso e lodi da Bondi e Verdini”
Non è stato facile non votare la fiducia, ma abbiamo reagito a una violenza
Non sono pentito di essermi dimesso di fronte a delle scelte sbagliate
“I no al voto finale saranno di più adesso possiamo sfidare il premier”
intervista di Tommaso Ciriaco
ROMA Lo studio sa di pittura fresca. Più che essenziale, è spoglio perché Roberto Speranza non ha ancora completato il trasloco dopo le dimissioni da capogruppo. Ha appena disertato la fiducia, assieme ad altri trentasette. Pochi, secondo i renziani. Però di peso, a scorrere l’elenco. «Trentotto sono un’enormità. Trentotto deputati che decidono di non votare la fiducia a un governo che pure sostengono sono un numero altissimo. Fra loro ci sono ex premier ed ex segretari. Hanno un peso politico. Sono un tratto importante del cammino del Pd. Di fronte a questi nomi, me lo lasci dire: non è più un problema di numeri».
Indietro non si torna, Speranza. È un atto grave. Troppo?
«Lo so, non è facile non votare la fiducia. Non lo è stato per nessuno di noi. Ma la fiducia è stata una violenza. Una forzatura gratuita. In passato era accaduto solo due volte. Si poteva evitare, come aveva dimostrato il voto sulle pregiudiziali. Renzi ha sbagliato e penso che adesso sia necessaria una riflessione».
Non votare non è una mossa incompatibile con la permanenza nel Pd?
«No. E lo sa perché? Si tratta di un atto grave, ma comunque meno grave della scelta di mettere la fiducia su una legge elettorale. Non votare è un atto comprensibile, giustificato dalla gravità della mossa del governo. Io, noi, non potevamo essere in pace con le nostre idee avallando un precedente tanto grave».
Trentotto deputati, dicevamo. Eppure i deputati delle minoranze dem sono il triplo, sulla carta.
«Trentotto di noi non hanno votato. Poi c’è chi non era convinto, ma ha detto sì per disciplina o responsabilità e si opporrà al testo finale. C’è un’area del dissenso che va ben oltre i trentotto, insomma. Penso all’intervento di Lattuca. Resta un punto di fondo, quello che mi ha portato alle dimissioni: stiamo votando una legge elettorale senza opposizioni e con un pezzo di Pd contrario».
Insomma, nel voto finale crescerete?
«Diversi deputati hanno detto in Aula che non voteranno il testo finale. Però voglio essere chiaro: a questo punto non è un problema di numeri, perché la maggioranza è larghissima. Il problema è tutto politico. Vale a dire: queste riforme sono poggiate sulla leadership carismatica di Renzi. Dico che non va bene, che il Pd non può farlo, che in passato accusavamo altri di fare quel che facciamo noi oggi».
Renzi lega la riforma elettorale alla vita del governo. Voi votate contro, quindi volete affossare il governo?
«Non la vedo così. È stato un errore legare la vita del governo alla legge elettorale. Un errore di Renzi. Nessuno ha in testa di abbattere il governo. E la legge passerà. Nessuno ha votato contro la fiducia precedente, nessuno lo farà sulla fiducia successiva a quella dell’Italicum. Ma per noi il Pd esce più debole da questo passaggio, non più forte».
La crisi interna al Pd consiglia a Renzi un passaggio istituzionale?
« Io penso che occorra una riflessione profonda fra di noi. Sui nostri valori fondanti, che sono stati messi in discussione».
La giornata di oggi è l’anticamera di una scissione?« Scissione non fa parte del vocabolario del Pd. La scissione è una prospettiva sbagliata. Il Pd è il mio partito. Però dobbiamo chiarire fra noi cos’è, oggi, questo Pd. C’è molto da capire. Quando vedo Camusso che tutti i giorni attacca il Partito democratico e non ne condivide le politiche, ad esempio. Oppure quando vedo Bondi che vota il Def e la fiducia a Renzi. O ancora quando leggo che Verdini ragiona di un gruppo di senatori che vanno verso il Pd. Ecco, vedo un problema enorme. Cosa vogliamo diventare?».
Un partito del 40%, sostengono i renziani.
« Un partito della nazione, forse? Significa una forza politica in cui c’è di tutto, indistintamente. In cui c’è la destra e la sinistra. Ecco, per me la strada è un’altra. Per me il Pd è una forza plurale, ma alternativa al centrodestra. Non possiamo essere un partito che si mette in mezzo e che imbarca chiunque passi, lasciando alle estreme Landini e Salvini ».
Le domando ancora: se continua così, sarà scissione?
« È proprio perché si va in quella direzione che voglio battermi nel Pd. Con lo spirito di rafforzarlo».
Non state pensando a un nuovo Ulivo?
« Il soggetto politico è il Pd, ma tornando allo spirito originario del partito. Quello della grande famiglia del centrosinistra».
Serve un congresso? Vi preparate a chiederlo?
« No, penso che adesso serva far vivere i nostri temi».
È pentito di essersi dimesso? C’è chi, nella minoranza, le imputa una scelta solitaria e divisiva.
« Le dimissioni sono sempre un atto personale. Comunque non sono pentito, avevo bisogno di far capire la mia autonomia rispetto a scelte sbagliate. E d’altra parte il disegno di Renzi, con la sostituzione dei membri in commissione e la blindatura con la fiducia, mi era chiaro fin dall’inizio».
E la minoranza frammentata? Anche oggi, in fondo, è andata così. Riuscirete mai a superare queste divisioni?
« Bisogna far vivere con forza maggiore un’alternativa dentro il Pd. In questi mesi non ci siamo riusciti. C’è un mondo, fatto di iscritti e militanti, che vuole che un’altra sensibilità sia protagonista. Io lavoro in questa direzione».