martedì 28 aprile 2015

questa non ce l’aspettavamo e ci dispiace: Massimo Salvadori vuole bene a Renzi!

Repubblica 28.4.15
Chi usa l’Italicum contro il governo
di Massimo L. Salvadori


È ANCORA ben presente nella nostra memoria la scena in cui la grande maggioranza dei parlamentari applaudì entusiasticamente il presidente Napolitano, quando con parole forti chiarì a quali condizioni aveva accettato la rielezione: uscire dalle inconcludenti contrapposizioni che bloccavano il varo delle urgenti riforme istituzionali e dare finalmente al Paese una legge elettorale che lo liberasse dalla “porcata” confezionata da Calderoli. Più il Presidente li fustigava e più i rappresentanti del popolo si spellavano le mani nell’approvare e nel promettere di volere, questa volta, porre al di sopra di tutto il bene comune. Ebbene, ora ci troviamo di fronte alla dichiarazione del presidente del Consiglio che, se l’Italicum non venisse approvato, la conseguenza sarebbe la caduta del governo, con il probabile ricorso alle urne con il Consultellum, il quale, in quanto basato sul criterio puramente proporzionale, aprirebbe le porte ad una penosa frammentazione dei gruppi parlamentari e alla formazione di un governo traballante e privo di autorità.
La piega presa dagli scontri tra i partiti, entro i partiti, tra buona parte di questi e il governo, tra la minoranza del Pd e Renzi sta a indicare inequivocabilmente che la crisi del sistema politico — accelerata dalla caduta dell’ultimo governo Berlusconi, dall’esito delle elezioni che ne sono seguite e dal passaggio turbolento della guida dell’esecutivo da Letta a Renzi — non è stata fermata. Lo chiarisce come meglio non si potrebbe il fatto che sia il premier stesso, il quale ha fatto del superamento della crisi la propria bandiera, a dire che il processo delle riforme può sfociare nel fallimento. Il deterioramento e la pericolosità della situazione li si misurano poi da un altro dato di grandissimo significato: l’accusa al capo del governo, divenuta un coro, di mettere in pericolo, per lo spirito che lo anima e i fini che persegue, la democrazia. Accusa tanto più grave in quanto a muoverla è anzitutto la minoranza antirenziana del Pd; a cui si sono naturalmente uniti con la massima soddisfazione, pur essendo profondamente in contrasto pressoché su ogni cosa, Berlusconi, Salvini, Grillo, Vendola, Susanna Camusso e Landini. È il segno di una spaccatura che mostra come la barca dell’Italia politica navighi ancora una volta in una palude.
Se il Parlamento si desse una opposizione autorevole, dotata di un programma alternativo credibile e condiviso da una maggioranza sia pure relativamente omogenea, allora l’eventuale caduta di Renzi potrebbe apparire meno allarmante: ma così non è. Il fronte dell’opposizione è un assemblamento meramente negativo. E ciò mette in luce un ulteriore aspetto della crisi di sistema: il prevalere nei partiti di una indecorosa conflittualità espressa da scissioni, scambio di accuse di tradimento, clamorosi cambiamenti di posizione e di strategie. Una Babele rissosa, a cui il “decisionismo” di Renzi — comunque lo si giudichi — ha cercato di opporre una barriera che minaccia di cedere. In questo quadro — riconoscendo il dovuto a grillini, leghisti, Fratelli d’Italia e vendoliani che sono stati nemici del governo dalla prima ora — la parte su cui occorre maggiormente riflettere è quella recitata per un verso da Berlusconi e per l’altro dalla minoranza Pd. Forza Italia si è divisa in due partiti e in varie fazioni giunte da ultimo allo stremo. Il Cavaliere ha stretto il patto del Nazareno plaudendo all’Italicum, e poi lo ha gettato nel cestino; prima ha guardato negli occhi Renzi come se fosse il figlio desiderato e mancato e ora proclama che è colpito da bulimia del potere e fa strame della democrazia. Quanto al Pd la sua situazione interna ricorda sotto un certo profilo quella del Psi prima del 1921: allora una corrente, quella comunista, considerava la maggioranza massimalista falsamente rivoluzionaria; oggi la corrente dei Bersani, Bindi, Fassina, D’Attorre, Bindi e Civati giudica Renzi alla stregua di un pericolo pubblico, al punto da non sentirsi più vincolata dai deliberati della maggioranza interna al partito.
Il che, se non prelude a una scissione, ne sviluppa i germi. Aspettiamo dunque di vedere se il Paese dovrà assistere al capolavoro della caduta del premier provocata dalla determinante opposizione della minoranza del partito del quale è anche il segretario, divenuta di fatto catalizzatrice di tutte le altre opposizioni. Abbiamo ripetutamente sentito i leader della minoranza Pd affermare che basterebbero alcune modifiche, significative eppure secondarie, per salvare l’Italicum, ma che tutto può franare per l’arrogante cocciutaggine di Renzi. Questi sarà pure un mulo sordo e presuntuoso. Ma occorre che costoro facciano capire come ad un Italicum non modificato sia preferibile la caduta del governo aprendo uno scenario a cui, per non dormire sonni troppo agitati, è meglio non pensare.