martedì 28 aprile 2015

Repubblica 28.4.15
Due partiti in uno e l’arma elettorale nell’ultima battaglia sull’Italicum
La denuncia della “deriva autoritaria” suona tardiva. E l’esito della partita richiama ciò che Blair fece al Labour
di Stefano Folli


C’È MOLTO nervosismo alla Camera intorno alla riforma elettorale. E si capisce. Se l’Italicum nei prossimi giorni sarà legge, finisce il Pd come lo abbiamo conosciuto in questi anni. Il Pd la cui storia remota comincia con la caduta del muro di Berlino e la trasformazione del Pci, ma i cui padri sono molteplici: il Pds, i Ds, l’Ulivo prodiano, in parte la sinistra cattolica. Una certa storia va a concludersi, resa obsoleta dalla crescita abnorme e rapida del «partito di Renzi». Da cui un’ulteriore stranezza: la raffica di voti di fiducia che il presidente del Consiglio è tentato di autorizzare contro una componente del suo stesso partito, quel Pd di cui egli è il segretario. Una fiducia sulla legge elettorale posta dal premier-segretario contro la minoranza interna.
Ci stiamo inoltrando, non c’è dubbio, su un terreno semi-inesplorato, almeno nella nostra vicenda parlamentare (c’è solo il precedente, ma in tutt’altro contesto, della fiducia sulla legge maggioritaria del ‘53, non paragonabile all’Italicum). È come se i due partiti che ormai convivono dentro il recinto del Pd fossero arrivati alla resa dei conti finale. Questo non significa che all’orizzonte si delinea con certezza una scissione: anche perché con la riforma in atto lo spazio elettorale a sinistra diventa davvero esiguo. Per paradosso, sarebbe più pratico organizzare una corrente dentro i confini del partito renziano, ma nella consapevolezza di un campo comunque esiguo e con possibilità di condizionare il gioco politico altrettanto modeste, per non dire nulle.
In altre parole, una trappola per le componenti «storiche» del Pd. Un esito che per certi versi sembra assomigliare all’estinzione della vecchia tradizione del «labour» britannico, esautorato e via via cancellato dall’irruzione sulla scena di Tony Blair. Ce n’è abbastanza allora per spiegare il nervosismo che serpeggia a Montecitorio. Gli oppositori di Renzi nel Pd gli hanno lasciato un margine troppo ampio e adesso si rendono conto che la battaglia è persa, salvo sorprese sempre possibili ma poco probabili. La denuncia tardiva della «deriva autoritaria» del premier tradisce perciò la debolezza politica della minoranza, più che annunciare la sua riscossa.
Nel frattempo tutti, anche i meno risoluti nel dire «no» alla riforma, hanno modo di verificarne i primi effetti. Persino in anticipo sui tempi parlamentari. La determinazione con cui Renzi ricorda che la vita del governo e della legislatura è legata all’approvazione dell’Italicum è significativa. È come se il premier dicesse che, in qualità di segretario del Pd, non permetterà la nascita di altri governi dopo le sue dimissioni. Un tempo questi orientamenti emergevano dagli uffici direttivi dei partiti e venivano comunicati al capo dello Stato, una volta avviata la crisi, ben sapendo che le decisioni ultime spettavano a lui. Adesso è tutto più esplicito e diretto. Con l’Italicum in tasca, è evidente che il presidente del Consiglio si ritiene in grado di determinare la durata della legislatura: lunga o breve, a seconda delle circostanze.
Sotto questo aspetto, la lettera inviata ai quadri del Pd costituisce un documento di notevole interesse. È un appello ai dubbiosi perché scelgano oggi, e non domani, da che parte schierarsi. Vi si affermano i contorni di un progetto riformatore ambizioso e si lascia capire che dall’altra parte, nella trincea degli avversari del leader, non c’è una prospettiva. Il sottinteso fin troppo trasparente è che il futuro di ognuno sta nella lealtà al premier-segretario nell’ora in cui questi coglie la vittoria parlamentare più rilevante.
Il che spiega l’urgenza dell’Italicum, la fretta di mettere in cascina una riforma che dovrebbe essere applicata per la prima volta nel 2018: cioè fra tre anni, se fosse valida la promessa di Renzi di portare a compimento la legislatura. Ma non è un caso che la lettera sia anche un perfetto manifesto elettorale. Un bilancio delle cose fatte e di quelle in cantiere, un programma per chiedere agli elettori un altro mandato. Può servire quasi subito o fra un anno, due o tre. Si vedrà strada facendo.