Repubblica 27.4.15
2050 Il sorpasso dell’Islam
Il numero dei musulmani sta per superare il totale di coloro che si riconoscono nella Bibbia
Non le migrazioni, non le conversioni né le “guerre sante” di nuovi califfi: il motore del primato sarà la natalità
Nei prossimi decenni l’integrazione non sarà più una scelta, ma una necessità
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON SARÀ il richiamo del muezzin e non la voce salmodiante del pastore cristiano dal pulpito a risuonare più alta e più ascoltata nel mondo della prossima generazione. Fra poco più di trent’anni, per l’anno 2050, il numero di fedeli all’Islam in tutte le sue variazioni e appartenenze avrà raggiunto, per la prima volta nel tempo che noi misuriamo in anni “dopo Cristo”, il totale di coloro che si riconoscono nei Libri sacri del giudaismo e della cristianità in tutte le sue confessioni. E nel 2070 lo avrà superato.
Il motore inarrestabile del sorpasso dell’Islam sul Cristianesimo è la natalità. Non le migrazioni, non le “guerre sante”, non le conversioni più meno spontanee e non i sinistri piani di nuovi califfi, ma semplicemente il numero di figli. Il centro di ricerca demografica americano Pew, un istituto di Washington che, dopo le origini dichiaratamente conservatrici, si è trasformato in un ente apolitico e rispettato per la serietà del proprio lavoro, ha confrontato la crescita demografica nelle regioni e nelle nazioni dove i musulmani sono già maggioranza come in quelle dove per ora rappresentano ancora una piccola parte della popolazione. Le conclusioni sono matematicamente incontrovertibili: escludendo eventi catastrofici imprevedibili, l’Islam sarà la religione dominante di questo secolo.
Quasi un abitante su tre (il 32%) della Terra oggi si considera cristiano contro uno su quattro (il 23%) che si identifica con l’Islam. Ma la dinamica della natalità muove decisamente a favore dei musulmani, in nazioni come la Cina, la Malaysia, l’Indonesia, i Paesi del Nord Africa, l’Iran, il Pakistan e soprattutto l’India destinata a ospitare fra una generazione il maggior numero di seguaci dell’insegnamento del profeta Mohammed. L’India, pur restando in maggioranza non islamica, diventerà nel 2050 la più grande nazione musulmana del mondo. E due miliardi e 800 milioni di credenti in Allah eguaglieranno i due milioni e 700 mila che ancora credono, o dicono di credere, nel Dio della Bibbia.
La ricerca non distingue fra sunniti e sciiti, le due principali componenti o sottocomponenti del mondo islamico che in Occidente appare erroneadi mente come un monolito minaccioso, anche se, vista la enorme sproporzione fra i due gruppi con un rapporto di circa nove sunniti per ogni sciita sembra evidente che l’espansione accentuerà la predominanza dei primi sui secondi. Ma dove i cambiamenti saranno più avvertiti sarà nelle nazioni occidentali, quelle che davano pigramente per scontata la propria appartenenza al campo “giudaico cristiano” e stanno assistendo a una crescita imponente delle popolazioni musulmane.
Negli Stati Uniti, ci saranno, nuovo per la prima volta nella loro storia, più musulmani che ebrei, un evento ovvio visto la costante immigrazione di nuovi americani provenienti da nazioni arabe o asiatiche di fede islamica e gli ormai irrilevanti afflussi di quegli ebrei d’Europa centrale e orientale che formarono il nerbo della popolazione israelita. Ma è ancora una volta il motore della natalità a creare la forbice nel rapporto fra le diverse affiliazioni religiose dentro i diversi Paesi. Già oggi, nelle 27 nazioni europee, dall’Albania al Regno Unito, il tasso di fertilità fra musulmani e non musulmani è massicciamente squilibrato, con 2,2 figli in media per gli islamici contro 1,5 per i cristiani, gli agnostici, gli atei, gli appartenenti ad altre confessioni. Uno squilibrio destinato a restare forte, proiettato verso la metà del secolo.
Nel 2050, Australia, Regno Unito, Francia, Nuova Zelanda, Olanda, Macedonia saranno nazioni a maggioranza musulmane, ma non ancora l’Italia. Gli Stati Uniti d’America, che si considerano nella retorica politica e nei sondaggi il baluardo della cristianità nelle proprie varie espressioni, sta assistendo a un aumento fortissimo dei “non affiliati” a nessuna religione. La proporzione di coloro che si proclamano cristiani è avviata a scendere dal 78 per cento al 66 per cento, mentre i musulmani, seppure ancora minuscola minoranza, più che raddoppieranno, dallo 0,9 di oggi al 2,1. Abbastanza per scavalcare gli ebrei, in diminuzione dall’1,8 all’1,4.
«Chiunque predichi, o immagini, una guerra di civiltà, uno scontro magari violento fra il mondo cristiano e quello musulmano dovrebbe guardare alla cifre prima di imbarcarsi in crociate» ha detto Tom Gjelten conduttore di un talk show serio alla televisione pubblica americana Npr. E a chi sicuramente vedrà nelle proiezioni fatte dall’Istituto Pew, che non sono sondaggi di opinioni, ma estrapolazione di tendenze da dati concreti, l’avverarsi di quella “minaccia islamica” oggi molto agitata e popolarizzata da letteratura “pulp” come il libro del francese Michel Houellebecq, Sottomissione , Amaney Jamal, professoressa di studi arabi e islamici a Princeton, offre questa osservazione: «Il terrore dell’Islam, che oggi tanti sfruttano utilizzando le immagini e le azioni ripugnanti dei fanatici, nasce da profonda, e spesso reciproca, ignoranza. L’aumento della presenza di musulmani nelle nazioni cristiane esporrà tanto i cristiani quanto i musulmani alle loro diverse esperienze religiose e aiuterà a demolire i miti diabolici che sopravvivono ancora».
Quello che le cifre, soprattutto riferite all’Europa e all’America, sembrano voler dire che l’integrazione fra le componenti ormai non soltanto etniche, ma religiose e culturali apparentemente inconciliabili, non è una scelta, ma una necessità che la dinamica demografica, molto più forte del fattore immigrazione, impone. A meno di immaginare un’improbabile frenesia riproduttiva che scateni gli uomini e le donne che si dicono cristiani per raggiungere il tasso di natalità fra musulmani arabi e non arabi d’Asia, d’Africa, d’Europa, per riequilibrare lo sbilancio demografico, una guerra contro 2,8 miliardi di avversari non sembra consigliabile.
La professoressa Jamal, lei stessa musulmana, che si presenta sulla cattedra di una delle università americane più wasp , più «bianche, anglo e protestanti», Princeton, sempre con lo chador attorno al capo, intravede nell’ipotesi di una democratizzazione di parte del mondo islamico più sviluppato, come in Indonesia o in Malaysia o in Iran, un possibile freno al boom demografico, legato soprattutto a una maggiore autonomia e autocoscienza delle donne. Trent’anni, come calcola la ricerca del Pew sono una generazione, sono milioni di bambini e bambini appena nati o non ancora nati, che tengono la chiave per una convivenza, nel mondo e all’interno delle nazioni, ancora difficile da vedere. Ma, spera Amaney Jamal, indispensabile e forse inevitabile. Se Dio e gli uomini lo vorranno. Insha’Allah.