domenica 26 aprile 2015

Repubblica 26.4.15
Il presente? Confuso. Il futuro? Incerto
Dalla grotta di Chauvet a Jurassic Park
Ritorno alla preistoria
Ecco perché preferiamo guardare indietro. Ma in tempi di crisi perfino il passato non basta più
E così cinema arte e letteratura, ispirate dalla scienza, riscoprono le nostre origini più remote
di Bruno Arpaia


IL PRESENTE ? Confuso. Il futuro? Incerto, incertissimo; perfino un po’ fosco. E se anche il passato non ci soddisfa più, perché lo abbiamo giù utilizzato troppo, possiamo sempre rivolgerci ancora più indietro. Alla preistoria, o ancora alle ere geologiche in cui l’uomo nemmeno esisteva. Appassionarci a quelle epoche remote e insondabili, facendole diventare moda: nelle arti, nelle scienze, in generale nella narrazione.
Questo perché oggi, in tempi di crisi sia economica che creativa, raccontare è diventato più complicato. Per farlo, infatti, bisogna in qualche modo prendere le distanze da ciò che è troppo immediato, guardare la realtà in prospettiva. E se l’attualità si fa ancora più intricata, caotica, la sedimentazione necessaria a trasformarla in storie richiede ancora più tempo e più impegno. Idem per il futuro. La buona fantascienza di una volta, quella di P. K. Dick, di Ballard, di Le Guin, di Spinrad, di Farmer o di Gibson e Sterling, costruiva il futuro a livello immaginario a partire dalle scorie e dai dettagli intuiti nel presente. Oggi, come ha scritto Christian Caliandro, «la fantascienza sembra aver perso la capacità di addestrare alla ricostruzione della realtà».
E il passato? Sarà perché, come diceva Faulkner, il passato non passa mai, e anzi è soltanto una dimensione del presente. Oppure sarà perché rovistare nella Storia sembra concederci la possibilità di aggrapparci a emozioni ed eventi noti, che offrono più sicurezze e più opportunità di racconto. E così, in questi ultimi decenni, film, romanzi, serie tv hanno letteralmente saccheggiato il passato, raccontandoci in una nuova forma la nostra Storia precedente: le guerre mondiali, il Vietnam, il Risorgimento, la Rivoluzione francese, l’antica Roma….
Alla fine, però, abbiamo avuto l’impressione che tutto fosse mescolato in maniera indiscriminata nella stessa funerea fascinazione per ciò che è stato. «La Storia, uno scenario rétro», diceva Jean Baudrillard già verso il 1977, parlando di Chinatown, di Barry Lindon o di Novecento . Film che ci restituivano un passato così esatto, così minuzioso, da essere come congelato nello stato in cui lo aveva colto una brutale perdita del reale.
Da un certo punto in poi, dunque, perfino la Storia ha cominciato a diventare confusa, incerta, meno “vera”. E allora? Niente paura. La colonizzazione del passato si spinge sempre più in là. Se la Storia ci fa brutti scherzi, cosa c’è di meglio di ciò che viene prima di lei? Eccola là, pronta per l’uso: la preistoria. Quel territorio semisconosciuto in cui riversare il nostro bisogno di epica, di incertezza, di passione. E allora la immaginiamo, la studiamo, la reinventiamo, la ricreiamo.
Lo hanno fatto la saga in sei volumi di Jean M. Auel, da poco conclusasi con L a terra delle caverne dipinte ( Longanesi), o le Cronache dell’era oscura di Michelle Paver (Mondadori), o ancora La notte del raduno, di Margaret Elphinstone (Einau-di), un romanzo ambientato nel Mesolitico. E il cinema? Dopo avere incassato quasi 600 milioni di dollari con il cartoon I Croods , la storia di una famiglia di cavernicoli alle prese con una natura prorompente e crudele, la 20th Century Fox e la DreamWorks hanno appena annunciato di avere messo in produzione il secondo film della serie, che sarà nelle sale a Natale del 2017. Già a giugno, però, potremo vedere il quarto episodio di Jurassic Park, rimasto per tredici anni in quello che l’industria mediatica chiama il development hell dei progetti rimasti a lungo in fase embrionale. In Jurassic World ( questo il titolo definitivo), a differenza che nei primi film, le conoscenze paleontologiche più recenti sui dinosauri vengono quasi del tutto ignorate, forse a causa della necessità di mantenere la coerenza con gli episodi precedenti.
La paleontologia, infatti, evolve e affina le proprie acquisizioni. Nuove ricerche hanno fatto perfino ricredere gli scienziati: dopo aver decretato l’inesistenza del brontosauro nel 1903, classificandolo semplicemente come una specie particolare di apatosauro, oggi un amplissimo studio quantitativo di ricercatori portoghesi e inglesi, apparso sulla rivista Peerj, ridà al brontosauro la dignità che gli era stata negata: esisteva, eccome. Settanta milioni di anni dopo la sua estinzione e un secolo dopo la sua seconda morte “scientifica”, questo gigante dal collo lungo rivive come se non fosse successo nulla, dando ragione a quei cineasti che, a partire da Il mondo perduto di Harry Hoyt del 1925, tratto dal romanzo di Arthur Conan Doyle, ne avevano fatto il protagonista dei loro film, fregandosene delle tassonomie dei paleontologhi.
Del resto, sui dinosauri, perfino la scienza si prende qualche libertà. Una bizzarra e traballante teoria che mette in relazione due dei più grandi misteri della scienza è stata infatti da poco pubblicata su una rivista seria come la Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: per Michael R. Rampino, geologo della New York University, l’estinzione di massa del Permiano, avvenuta 250 milioni di anni fa, sarebbe legata al passaggio della Terra in ammassi di materia oscura della Via Lattea, che avrebbe provocato collisioni tra corpi celesti e massicce eruzioni vulcaniche. Un’ipotesi troppo tenue e poco supportata dalle attuali conoscenze per prenderla seriamente in considerazione.
Meglio occuparsi di conchiglie fossili di 6 milioni e mezzo di anni fa. Come ha fatto Jonathan Hendricks, paleontologo alla San José State University: ha illuminato alcune conchiglie di lumaca di mare assassina, ritrovate nella Repubblica Do-minicana, che oggi appaiono completamente bianche, con la luce ultravioletta e ha processato le immagini con un particolare software, ricostruendone gli sgargianti e meravigliosi colori originali. Voilà: più reale del reale, avrebbe detto Baudrillard.
Ma non basta: su questa linea ai confini della “realtà”, l’ideale sarebbe viverla, la preistoria. Entrarci dentro. Detto, fatto. Da qualche giorno è infatti possibile visitare la replica esatta della famosa grotta Chauvet-Pont-d’Arc, nell’Ardèche, in Francia. Scoperta nel 1994, non è mai stata aperta al pubblico, per non rovinare le più di mille figure realizzate sulle sue pareti 36mila anni fa dai cacciatori-raccoglitori del periodo aurignaziano: bisonti, felini, cavalli e rinoceronti, raffigurati secondo le più evolute tecniche dell’arte figurativa, con tanto di rappresentazione del movimento e di prospettiva. Qualche anno fa Werner Herzog vi aveva girato un documentario, intitolato The Cave of Forgotten Dreams, per raccontare la meraviglia e la bellezza di quelle immagini. Ora, a due chilometri dall’originale, è possibile entrare nella copia, dove, come ha scritto Pedro Lima su Le Monde, «al di là della fedeltà quasi millimetrica, della precisione dei disegni restituiti e delle false ossa sparse a terra, i visitatori della caverna sono invitati a una vera e propria esperienza sensoriale ». Tanto da non accorgersi nemmeno della differenza tra la copia e l’originale. Ma Baudrillard, sempre lui, l’aveva già previsto molti anni fa.