Repubblica 26.4.15
L’affondo del premier pronti quattro voti di fiducia e tempi contingentati “Basta con i giochetti”
di Francesco Bei
ROMA La decisione è presa, la fiducia (anzi le fiducie) sull’Italicum a questo punto è scontata. Così la volontà di chiudere il prima possibile «anche con il contingentamento dei tempi» la discussione sugli emendamenti. «Basta, portiamo a casa il risultato», è l’indicazione data ancora ieri mattina da Renzi ai suoi. Quello che il premier e i suoi fedelissimi stanno ancora valutando è invece come arrivare più facilmente all’obiettivo. Perché talvolta, per i complicati regolamentari parlamentari, per compiere il tragitto da A a B la strada più veloce non è la retta ma l’arzigogolo.
In queste ore a palazzo Chigi si sta ragionando infatti sulla possibilità di far slittare tutto lo scontro sulla legge elettorale alla prossima settimana, saltando aprile. Il motivo è semplice: a maggio scatterà il contingentamento dei tempi, con una drastica tagliola sulla possibilità di fare ostruzionismo, mentre ad aprile ogni deputato potrebbe in teoria parlare per venti minuti su ciascun emendamento. Un Vietnam che nel Pd sono decisi a evitare, saltando direttamente al calendario di maggio. E lasciando che l’aula sia impegnata questa settimana con il disegno di legge sui reati ambientali.
Un apparente rinvio che maschera in realtà una stretta ancora più forte sul dibattito. Così lunedì l’aula inizierà la discussione generale - disertata solitamente dalla stragrande maggioranza dei deputati - per poi fermarsi martedì sulla soglia dei primi voti. Quelli sulle tre pregiudiziali di costituzionalità presentate da Forza Italia. La Boldrini, a quel punto, potrebbe prendere la parola e annunciare che «il seguito della discussione è rinviato alla prossima settimana». Niente voto, niente ostruzionismo. Spiega una fonte vicina al premier: «Potremmo tentare di approvare l’Italicum anche questa settimana, ma sarebbe un inferno. M5S e gli altri sono già pronti all’ostruzionismo e ci costringerebbero comunque a rinviare tutto a maggio. Tanto vale deciderlo subito da soli e puntare al contingentamento dei tempi».
La decisione di spostare di una settimana l’approvazione definitiva della legge comporterebbe un altro vantaggio tattico per il governo: sette giorni in più per convincere una parte della minoranza del Pd a disinnescare le cinture esplosive e non tentare mosse da kamikaze. «Con i numeri siamo abbastanza tranquilli», dicono oggi gli addetti al conteggio. Ma l’avverbio abbastanza» qualche timore comunque lo nasconde. Non tanto sull’approvazione definitiva dell’Italicum, che Renzi la dà per scontata. Quanto sull’ampiezza del dissenso interno. «Se si arrivasse a una cinquantina dei nostri che non votano la fiducia - ragiona un ministro - è evidente che la legge passerebbe ugualmente ma si creerebbe una grave frattura politica. A quel punto tutto sarebbe possibile». È lo spettro di quella scissione che ormai nessuno si sente più di escludere, benché in pubblico l’ipotesi venga rigettata sia dai bersaniani che dai renziani.
Così la settimana in più di pausa parlamentare potrebbe essere sfruttata per proseguire in quel lavorìo diplomatico che tutti gli esponenti di punta del Pd - da Guerini a Lotti, da Rosato a Boschi - stanno portando avanti per convincere l’ala moderata di Area riformista a non compiere «scelte irreparabili». La mediazione tuttavia non ha per oggetto le modifiche all’Italicum, ed è questo lo scoglio più grande. L’unica cosa che il premier è disposto a mettere sul tavolo è infatti la riforma costituzionale, con alcune - limitate - aperture. Ma la legge elettorale non si tocca. «Le preferenze - spiega un renziano pensando ai ribelli dem -- sono uno specchietto per le allodole. La cosa a cui puntano veramente è l’apparentamento al ballottaggio. In questo modo potrebbero uscire dal Pd e fare una “Cosa” di sinistra con Sel. Per poi allearsi con noi al secondo turno. Ma questo Renzi non glielo concederà mai, non si devono fare illusioni».
Secondo gli ultimi calcoli, sfrondati i tanti bersaniani che non vogliono far saltare il governo, i duri e puri che restano nella “lista Lotti” sono dieci-quindici deputati. Persone disposte a non votare l’Italicum nemmeno con la scure del voto di fiducia. Ma ai piani alti del Pd lasciano intendere che non ci saranno rappresaglie nemmeno per chi dovesse violare la disciplina di maggioranza: «In fondo è già successo in passato che gente come Civati non abbia votato la fiducia. Ma poi non se ne sono mica andati e noi non li abbiamo cacciati. Del resto dove andrebbero? Fuori dal Pd non c’è vita». Tutti gli occhi sono ora puntati, più che sull’Italicum, sulle prossime regionali. Civati e la minoranza attendono di capire quanti voti il candidato “di sinistra” Luca Pastorino possa prendere in Liguria, considerata una regione laboratorio per una possibile scissione. Mentre Renzi è convinto che la partita finirà 6 a 1 per il Pd. Con il Veneto come unica regione che resterà in mano al centrodestra.