mercoledì 22 aprile 2015

Repubblica 22.4.15
L’Italicum e i feriti del Pd la vittoria sarà a caro prezzo
Il premier rischia di affrontare con un partito indebolito il protrarsi delle difficoltà dell’economia
di Stefano Folli


LA BIZZARRA storia della riforma elettorale si avvia alla conclusione in un crescendo di effetti speciali che nascondono anche qualche ambiguità. Sul campo resterà un certo numero di feriti e un vincitore, uno solo, chiuso nel suo isolamento. Ma resterà soprattutto un vecchio partito a pezzi, il Pd, che ora può solo diventare in tutti i sensi il partito del premier. Fra lacerazioni e traumi che raramente in politica portano fortuna, almeno nell’immediato.
Gli effetti speciali sono sotto gli occhi di tutti: i dissidenti del Pd sostituiti in Commissione, le opposizioni che abbandonano i lavori in una sorta di mini-Aventino, l’ipotesi del voto di fiducia sullo sfondo, inevitabile innesco di ulteriori, aspre polemiche. Tuttavia non tutto è come sembra. Giorni fa era già circolata voce che gli esponenti della minoranza Pd avrebbero lasciato la Commissione, facendosi sostituire dai «renziani», per non essere costretti a votare contro il testo di una riforma non condivisa. Ma allora si disse che questo scambio era un modo per non esasperare le tensioni, in sostanza per salvare il salvabile della convivenza interna. Lo stesso Bersani disse a un certo punto: «penso che mi farò sostituire».
Il problema è che poi gli eventi accadono e gli esiti non sono sempre prevedibili. Una sostituzione concepita forse per non frantumare il Pd, rinviando i nodi all’assemblea di Montecitorio, è diventata strada facendo una frattura dolorosa e non facile da sanare. La ragione è semplice: le varie opposizioni hanno sfruttato la scia delle divisioni nel centrosinistra per un attacco ad ampio spettro contro il presidente del Consiglio, nel tentativo di costringerlo all’angolo e di mostrarne la solitudine. Renzi, dal canto suo, ha probabilmente sottovalutato la sfida, trascinato dal suo temperamento e dal desiderio di non apparire mai, per nessuna ragione, un leader che si piega. Un leader, anzi, che tiene soprattutto alla sua immagine e alla sua leggenda: abbastanza sprezzante da qualificare come «cagnara» i tormenti più o meno giustificati di un segmento del Parlamento e in particolare di una porzione non secondaria del suo stesso partito.
Il risultato è che egli otterrà probabilmente la sua riforma elettorale. Ma a un prezzo politico tutt’altro che trascurabile. La otterrà più per i limiti dell’opposizione interna, priva di autentica coesione e di una vera strategia, che per i propri meriti. Una riforma cruciale, qual è la legge elettorale, meritava di essere approvata da una platea vasta, com’era nelle intenzioni originarie. Invece, salvo incidenti di percorso provocati dal voto segreto, sarà una vittoria di Pirro. L’ostinazione di un uomo solo al comando che sventola la bandiera strappata al nemico.
Dopo questa prova, egli avrà nelle sue mani un potente strumento di potere, l’Italicum. Quando cederà alla tentazione di usarlo per completare l’opera, cioè per escludere dal Parlamento i suoi nemici interni e definire i contorni di una legislatura «renziana», fondata su una sola Camera? È chiaro che occorre attendere il completamento della riforma del Senato. Ed è qui che si spostano adesso le tensioni e le richieste di correggere in qualche punto la legge costituzionale, così da non approfondire gli squilibri emersi. Poi avremo il referendum confermativo, destinato a trasformarsi — nella visione di Palazzo Chigi — in una sorta di plebiscito a favore del premier. A quel punto verificheremo se la promessa di votare alla scadenza naturale del Parlamento, nel 2018, reggerà alla prova dei fatti.
Quel che è certo, la vita residua della minoranza all’interno del Pd sarà sempre più faticosa. Ma è pur vero che si tratta di un gruppo abbastanza eterogeneo. Qualcuno cercherà un accordo con il leader, altri potrebbero essere tentati dalla scissione a sinistra, con l’idea di costruire una specie di «Linke» all’italiana (tuttavia non Bersani, non D’Alema e altri che hanno vissuto gli ultimi vent’anni del Pci). Il rischio è che il partito di Renzi, nato da uno strappo così netto, possa incontrare qualche ostacolo di troppo se la condizione economica del paese non migliorerà in fretta.