La Stampa 22.4.15
Dissidenti-premier
Ormai non è più solo lite tattica
La sfida finale si fa rischiosa per il governo
di Federico Geremicca
Matteo Renzi - è cosa nota - è un grande appassionato di calcio. Anzi, diciamo pure un supertifoso: di quelli - e siamo in tanti - che va bene anche vincere al novantesimo, magari con un gol in fuorigioco o un rigore molto dubbio. Il premier-tifoso, infatti, sa che in classifica e negli annali - alla fine - resteranno i tre punti e la vittoria, e che tutto il resto verrà dimenticato. Ora, che la regola “il risultato prima di tutto” possa funzionare anche in politica, resta da vedere.
Ma diciamo che, da quando è a Palazzo Chigi, Renzi sta sfidando lo sfidabile per dimostrare che è così. Solo chi conosce poco il modo di intendere la politica del più giovane premier della storia repubblicana poteva dunque sperare che, giunto a un passo dal traguardo, Renzi si fermasse di fronte a obiezioni e riserve che considera discusse e ridiscusse per un anno intero. E oggi, giunti al criticissimo punto cui si è giunti, solo gli ottimisti e i distratti (colpevolmente distratti) possono sperare che, in presenza di dissensi o di richieste di voto segreto, Renzi non ponga la questione di fiducia anche sulla legge elettorale.
Salvo colpi di scena dell’ultima ora, infatti, è largamente prevedibile che andrà a finire così. Anche in questo caso, insomma, per il premier conta prima di tutto il risultato: che sarà incassato - se sarà incassato - con la convinzione che tra sei mesi quel che ricorderanno i cittadini è che il Paese ha finalmente una nuova legge elettorale, e non come e perchè quella legge sia stata approvata.
Tutto ciò può non piacere, naturalmente: ma nessuno potrà, onestamente, gridare alla sorpresa. Se c’è una cosa che Renzi non ha mai nascosto, infatti, è proprio questo metodo spiccio di intendere la politica e il governo del Paese: e non è azzardato immaginare che anche questo approccio sia alla base del successo ottenuto dal segretario-premier fuori e dentro il Pd. E’ la parabola del trapano (Renzi) e del cacciavite (Letta). Oppure, per tornare a immagini calcistiche, del pressing a tutto campo dopo anni di “melina”...
E’ chiaro, naturalmente, che la forzatura in atto sull’Italicum potrebbe non restare senza conseguenze e incidere pesantemente sul percorso della legislatura. Dopo la rottura con Silvio Berlusconi, infatti, i margini (non solo numerici ma soprattutto di manovra politica) si sono fatti assai più stretti. Quanto stretti, in realtà, dipende da quel che deciderà la minoranza del Pd dopo aver incassato l’ennesima sconfitta (l’approvazione dell’Italicum) preceduta da una inedita mortificazione (la sostituzione in blocco nella commissione Affari costituzionali). E qui - per fortuna di Renzi... - si arriva alle note più dolenti.
A 16 mesi dalla conquista della segreteria da parte dell’ex sindaco di Firenze ed a 14 dall’avvento a palazzo Chigi, le minoranze interne al Partito democratico continuano a non trovare il bandolo della matassa. La loro azione appare talvolta così appannata e contraddittoria che, anche in un caso clamoroso come quello della loro sostituzione in commissione Affari costituzionali, quel che sembra destinato a impressionare di più l’opinione pubblica non è il “colpo di mano” del premier quanto - piuttosto - l’Aventino annunciato da tutte le opposizioni.
Eppure, i margini di incertezza circa la linea da tenere dovrebbero essersi ormai ridotti ad una sorta di dentro o fuori. E cioè: o nel Pd, preparando la rivincita al Congresso che verrà; oppure fuori dal Pd, nella convinzione che Renzi abbia talmente cambiato obiettivi, natura e perfino “ragione sociale” del partito che far finta di nulla non sia più possibile. La parola scissione resta impronunciabile, e lo si capisce: quel che non si intende - o non si intende ancora - è quale sia l’alternativa.
Da questo punto di vista, lo scontro finale sull’Italicum rappresenta un passaggio delicatissimo e difficilmente eludibile: soprattutto se Renzi dovesse porre la questione di fiducia. Si può riconfermare sostegno ad un governo che - a parte il resto - tra riforma del bicameralismo e della legge elettorale prepara l’avvento del presidenzialismo, sottopone a “torsioni” la democrazia e tradisce le tradizioni della sinistra italiana? E’ questo l’interrogativo che aleggia sulle mosse delle minoranza pd. La risposta non è né facile né indolore: eppure è proprio una risposta netta e chiara che oggi è necessaria. Pena, spiace dirlo, l’irrilevanza politica: che per chi fa politica è il peggio che c’è.