Corriere 22.4.15
Italicum L’urgenza (sospetta) del premier
di Antonio Polito
L’altro giorno, in un dibattito radiofonico, il deputato pd Roberto Giachetti ha giustificato così la sostituzione dei dissidenti in Commissione: «Il gruppo del mio partito si è espresso, e ha votato all’unanimità a favore dell’Italicum». Si riferiva alla riunione in cui tutti i parlamentari democratici contrari alla legge erano usciti e avevano votato solo i favorevoli. Tecnicamente, l’unanimità.
L a stessa vertigine di unanimità si è avuta ieri nella commissione Affari costituzionali, dalla quale sono usciti tutti i deputati delle opposizioni, dai Cinquestelle a Forza Italia, dalla Lega a Sel, e sono rimasti solo i renziani di complemento, in sostituzione dei dissidenti, più i resti di Scelta civica. Ma se è vero che la democrazia è il potere della maggioranza di decidere, come Renzi ha ieri ripetuto, è anche vero che la maggioranza ha bisogno di una minoranza per essere chiamata tale.
Al momento, la minoranza non c’è; e c’è un rischio elevato che non ci sia neanche in aula, se come è ormai probabile il governo metterà la fiducia sulla legge elettorale.
Naturalmente i nemici dell’Italicum non sono tutti disinteressati combattenti per la libertà. C’è chi, come in Forza Italia, ha approvato fino a ieri quella legge e ora la combatte perinde ac cadaver ; c’è chi nel Pd confonde l’opposizione a Renzi con la Resistenza; c’è chi ne approfitta per fare cagnara come i leghisti.
Ma la domanda da rivolgere al premier è perché stia dando a tutti costoro l’occasione per trasformare il dibattito parlamentare su una materia così delicata e rilevante in una corrida, come quella che portò qualche settimana fa, nottetempo, all’approvazione di una quarantina di nuovi articoli della Costituzione con un risicato numero di voti, spesso inferiori alla maggioranza assoluta, in un’aula semideserta. E soprattutto se pensa che ripetere lo stesso spettacolo sull’Italicum sia un buon viatico per la legge che deve regolare il sistema della rappresentanza parlamentare si spera nei prossimi cinquant’anni; e se così si possano dare basi solide a una riforma costituzionale ancora da completare, che per una definizione molto cara al Pd dovrebbe essere «condivisa».
Diciamoci la verità, l’Italicum in sé non è un’opera dell’ingegno così mirabolante da meritare una difesa a oltranza contro ogni cambiamento: il premier stesso l’ha ammesso, nessuna legge elettorale è perfetta. D’altra parte la necessità di approvarlo in fretta è contraddetta nella stessa legge da una clausola che ne rinvia l’entrata in vigore all’1 luglio del 2016, cioè tra più di un anno. Né il premier può più dire di essere vincolato ai patti del Nazareno, che sono stati rinnegati dall’altro contraente.
Tutto ciò autorizza il sospetto che dietro l’ansia di Renzi di chiudere la partita anche a costo di fare la figura di chi reprime il dissenso nel suo partito e in Parlamento ci sia l’urgenza di disporre al più presto dell’arma finale della legislatura.
E in questo crescente sospetto si annida per lui il rischio maggiore. Perché finora i deputati sono stati persuasi che se non passa l’Italicum vanno a casa. Ma che succede se si convincono che vanno a casa se passa?